Nella tappa del Tour de France, che si è conclusa in cima all’Alpe d’Huez, abbiamo assistito tutti ai comportamenti deplorevoli tenuti da chi seguiva la corsa lungo i tornanti dell’ascesa finale.
Tra fumogeni, mani allungate, gente che correva a fianco ai corridori sino a farli cambiare di direzione, abbiamo vissuto la caduta di Vincenzo Nibali.
A caldo i due bravissimi cronisti hanno attribuito la responsabilità della caduta alle moto della Gendarmeria francese e, poco dopo, quando i 4 leader si sono schierati sulla stessa linea, hanno visto una azione di fair play atta ad attendere lo sfortunato Vincenzo.
Nelle ore successive sono stati smentiti dalle immagini: la caduta è stata causata da un restringimento della carreggiata e da un tifoso che teneva la tracolla della macchina fotografica a penzoloni.
Chris Froome in persona, invece, ha smentito che quello schieramento trattavasi di fair play.
Quello su cui vorrei far riflettere è il peso e l’importanza di ogni singola parola che viene pronunciata in TV e in diretta.
Le parole dei cronisti sono state la base sulla quale si sono fondati i ragionamenti dei telespettatori espressi attraverso i noti canali web: siti e social network.
Le parole dei due professionisti hanno involontariamente alimentato discussioni, attriti, insulti, elogi tutti basati su supposizioni rivelatesi sbagliate.
Al Poliziotti francesi saranno fischiate le orecchie tanto da rimanere frastornati e non solo a loro.
In questa circostanza, i due cronisti, hanno commesso un piccolo errore quello di sentenziare senza prove.
Attenzione a quando si parla per emozioni e non per verità provate.