Gaia, Silvia, Matilde cicliste Elite varesine

Gaia, Silvia, Matilde cicliste Elite varesine
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Gaia Saporiti (Team Tre Colli – Chirio), Silvia Pollicini (Team Valcar) e Matilde Vallari (Team Racconigi) sono tre donne e tre cicliste della provincia di Varese.

Si sentono in qualche modo tradite dalla propria terra pur essendo le uniche atlete varesine militanti nella massima categoria femminile.

A farle saltare sulla sedia è una intervista a Sergio Gianoli intitolata “Una vita per il ciclismo varesino” pubblicata su SM News il 27.12.2018 (link all’intervista).

Sergio Gianoli è da tempo un giornalista sportivo e organizzatore di gare e nella sua intervista parla anche del ciclismo femminile.

In realtà liquida l’argomento con poche parole, quasi per cortesia nei confronti di chi gli pone le domande.

Questo è quanto afferma:

Premetto che non ci sono donne che fanno agonismo. In provincia di Varese le ragazze, dai tredici ai diciotto anni, che corrono in bicicletta, sono dodici. Il movimento femminile è in aumento a livello amatoriale, ma sul piano agonistico è in forte regressione.

Sicuramente il movimento maschile, seppur in difficoltà, è più forte ma affermare che non ci sono donne che fanno agonismo mi sembra una affermazione azzardata e facilmente smentibile.

Il movimento ciclistico rosa italiano e mondiale è in crescita anche grazie al fatto che da alcuni anni le squadre World Tour maschili danno vita a formazioni femminili.

Abbiamo pertanto l’Astana Women Team, la Trek Segafredo, la Movistar, la Michelton Scott, solo per citarne alcune, che vanno ad affiancare Valcar, BePink, Alé Cipollini, Eurotarget Bianchi, WNT Rotor, Aromitalia-Basso Bikes-Vaiano, Conceria Zabri Fanini, Servetto-Piumate-Beltrami TSA,  Top Girls-Fassa Bortolo e altre formazioni.

A Varese ci sono tre Elite (professioniste) che hanno tutto il diritto di essere riconosciute AGONISTE, dato che tali sono.

Silvia Pollicini ha corso per ben due volte il Giro d’Italia ed ha gareggiato anche all’estero.

Gaia Saporiti e Matilde Vallari hanno gareggiato in competizioni professionistiche di livello internazionale e in gare pre-mondiale.

Seguo da un paio d’anni il ciclismo femminile dal suo interno e posso garantire che l’agonismo c’è e anche il professionismo che non si concretizza solo in una busta paga ricevuta, ma con l’atteggiamento che si assume nel prepararsi alle competizioni e durante le gare.

Gaia, Matilde e Silvia non accettano che la professionalità che posseggono venga ignorata pubblicamente da coloro che organizzano eventi e scrivono sui giornali e che dovrebbero, invece, valorizzare le ricchezze della loro terra.

Il ciclismo femminile soffre anche a causa di questi comportamenti che tendono a mantenere sotto coperta un gruppo più che mai vivo.

Una coperta che va sollevata per dare luce e spazio a queste splendide atlete.

Le ragazze tutte, devono lottare molto più dei colleghi uomini perché oltre a pedalare devono battersi contro l’ottusità di molti.

Se nella provincia di Varese vi è la consapevolezza di un calo e del fatto che vi sia poco spazio per le donne, chi di dovere dovrebbe darsi da fare per creare questi spazi, per organizzare competizioni e per dare incentivi a coloro che vogliono organizzare squadre ciclistiche femminili in ogni categoria.

Se anche fossero solo tre le cicliste professioniste, queste andrebbero tenute ben in alto, perché dal loro esempio potrebbe svilupparsi tutto il movimento.

C’era una certa Maria Canins che correva anche in bici, il suo nome era sinonimo di ciclismo al femminile. La sua terra, i suoi concittadini ancora oggi parlano di lei con orgoglio e nessuno si è mai sognato di dire che non era una professionista.

Nessuno l’avrebbe mai ignorata.

Silvio Martinello “Apparentemente sì, mi spiego: la crescita del movimento femminile è sotto gli occhi di tutti e questo è un bene, sia per l’immagine del ciclismo sia per le atlete, finalmente considerate per quanto valgono. Ma ci sono degli aspetti che non mi convincono. Il primo è legato alla velocità e all’intensità con le quali il circuito sta progredendo: non vorrei fossero esagerate. Il rischio, nell’imminente futuro, potrebbe essere quello di trattare e osservare il mondo femminile come quello maschile: a mio giudizio sarebbe un errore imperdonabile perché ciò che funziona da una parte non è detto funzioni anche dall’altra. L’Italia, a partire dal 2020, dovrà poi fronteggiare una questione delicatissima. Con l’entrata in vigore della nuova riforma, le nostre atlete non potranno più essere considerate delle dilettanti, come invece attualmente vengono inquadrate. Intendiamoci: dal punto di vista dell’impegno sono già delle professioniste. Dal prossimo anno, però, saranno obbligate a scegliere tra i corpi militari o le squadre del World Tour. Le conseguenze non sono banali: far parte di un corpo militare significa avere stabilità anche al termine della carriera sportiva, firmare per un team professionistico equivale invece a bruciare questa possibilità preferendo un contratto immediatamente più corposo. Ma guadagnare più soldi in un primo momento, per quanto lecito, vale più o meno di una sicurezza futura? Ecco, questo sarà un passaggio fondamentale per il ciclismo femminile italiano. Senza dimenticare l’altra parte chiamata in causa: non è da escludere che i corpi militari, una volta spogliati dei loro migliori elementi, decidano di interrompere la collaborazione con la Federazione.” Silvio Martinello intervistato da SUIVEUR.IT

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