Su Pantani, vogliamo la verità

Pantani
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Alessandro Di Giuseppe, inviato delle Iene, nella puntata di domenica 12 maggio, ci ha raccontato nuovi fatti, nuove testimonianze che farebbero vacillare quanto fino ad ora dato per certo dagli inquirenti.

Un “esperto di investigazioni elettroniche che ha lavorato molti anni per la Procura di Rimini” avrebbe dichiarato che quella sera era li insieme alla Polizia.

Secondo costui non si sarebbe assolutamente arrivati alla verità su Marco Pantani.

Rivelerebbe infatti che il nastro contenente il video effettuato dalle forze dell’ordine quella sera, giunse a loro completamente danneggiato.

“la cassetta era stata danneggiata, l’abbiamo ricostruita noi in laboratorio… mi portano una cassetta con tutto il nastro fuori… Mi dice.. perché la scientifica nel fare dei fermi immagine è andata avanti e indietro, l’hanno rovinata…. e mi dicono.. guarda non si può fare più niente vero? Ci siamo messi tutta una notte, l’abbiamo smontata e abbiamo riversato tutto il contenuto che c’era in questa cassettina in un CD. Non mi era mai capitato che era uscito un nastro.”

Gli atti processuali direbbero che Marco era solo in quella stanza ma potrebbe non essere così.

Prima di tutti è un ex generale della Guardia di Finanza a riaccendere i dubbi “affermando che Pantani quelle sera non era solo” (Alessandro Di Giuseppe).

Vi è anche uno dei receptionist di quell’hotel, Pietro Buccellato, che confermerebbe che si poteva entrare e uscire dalle camere senza essere visti.

Affermerebbe che vi era una entrata secondaria e che si poteva accedere dal garage senza passare per la reception.

Emergerebbe anche il fatto che la reception non era sempre presidiata, lo conferma anche un’altra dipendente rimasta anonima.

Le telecamere di sorveglianza dicono esserci state ma, guarda caso, quel giorno non funzionavano.

Il tecnico rivelerebbe che nessuno ha controllato quelle videocamere neanche per capire se erano guaste o se fossero state messe fuori uso o se solo fermata la registrazione.

Si era detto che Marco non era mai uscito da quell’hotel ma, il servizio delle Iene, ci riporta testimonianze di persone che l’hanno visto in quei giorni.

Uno è il titolare del bar Nuovo fiore, P. Traini, che affermerebbe che Marco andò nel suo bar a bere un caffè il giorno prima del ritrovamento del cadavere.

Nel servizio, viene intervistato un ragazzo che lavorava in un altro hotel di Rimini e che affermerebbe di averlo visto qualche giorno prima della morte.

Racconta che “era seduto sui divanetti e chiacchierava con altre persone” e che Marco Pantani aveva prenotato una camera anche in un secondo hotel in quei giorni.

Anche Fabio Carlino, uno della compagnia di Pantani in quei giorni dissoluti a Rimini, sosterrebbe che Marco “non è mai successo che lui è stato chiuso una settimana, in nessun posto i nessuna stanza da solo”.

Sosterrebbe anche che “era una persona super tossica ma che aveva voglia di divertirsi con le donne“.

Gli inviati delle iene hanno cercato le prostitute che sarebbero state con Marco e le avrebbero intervistate.

La prima non ne vorrebbe parlare, direbbe di non saperne niente ma affermerebbe “non ti posso dire niente“.

Capite tutti che tra non so e non posso c’è una differenza abissale.

Martina, la seconda interpellate, avrebbe detto di essere stata con Marco non solo alle Rose ma anche in un altro hotel.

Affermerebbe una cosa ancora più importante, avrebbe detto: “chi ci chiamavano erano questi ragazzi che lavoravano nella portineria“.

La Iena mostra lei delle foto e Martina riconosce uno di coloro che la chiamava per Marco.

Alessandro lo va a cercare, il suo nome è Daniele, ma quando lo trova il signore in questione risponde male prende e se ne va di corsa con la sua moto.

Ci viene raccontato anche un fatto molto importante: pochi giorni dopo quell’incontro con Martina, lei chiama le Iene dicendo loro di essere stata minacciata.

Racconta, con accento dell’est Europa, che le avrebbero telefonato dicendole:

devi dimenticare Rimini, poi che poteva risvegliare con bocca piena di formiche. E di stare zitta e dimenticare tutto. Sarebbe bello che qualcuno pagasse perché io non penso che lui è morto così. Però io lo dico a te, io non lo dico mai più a nessuno“.

Alessandro Di Giuseppe allora si chiede, chi minaccerebbe una prostituta che è stata con Marco 15 anni fa?

Tutte queste nuove cose emerse, unite alle testimonianze di coloro che sarebbero entrati in quella stanza per primi e che avrebbero affermato che quella pallina bianca filmata accanto al corpo di Marco non c’era, ci lasciano di stucco.

Sono il receptionist Buccellato e un infermiere del 118 A. Torri ad affermarlo.

Il secondo direbbe addirittura che vicino al corpo non vi era nulla.

Tre testimoni affermerebbero di avere visto il lavandino divelto per terra, mentre nel video risulterebbe al suo posto.

I testimoni arrivati prima della Polizia affermerebbero di aver visto cose diverse da quelle registrate nel filmato agli atti. Dicono che non vi era tutta quella “coca” nella stanza.

Il tecnico, che avrebbe lavorato per anni per la Procura di Rimini, fa un’altra affermazione importantissima che getterebbe ombre enormi su come venne condotta quella inchiesta, afferma Alessandro Di Giuseppe.

Soprattutto su uno dei componenti la squadra di investigazione, l’ispettore Daniele Laghi.

“Laghi a me personalmente non ha fatto niente, però a Rimini ci conosciamo tutti… tracce di droga in tutte le parti della stanza, cioè la scena del crimine l’hanno creata”

Quella sera intervennero in ordine, ricorda Alessandro Di Giuseppe, gli infermieri, la Polizia e i Carabinieri.

Questi ultimi, il tecnico affermerebbe che, non furono fatti entrare.

“Un carabiniere che è un amico che vedo sempre gli ha detto fateci solo entrare, facciamo un’annotazione di servizio e basta. Non li hanno fatti entrare”

Alessandro Di Giuseppe allora ricorda quello che avrebbe detto il portiere dell’Hotel ovvero che Polizia e Carabinieri si sarebbero litigati.

Il tecnico conferma:

“si, si , si, sono arrivati quasi alle mani”.

Quella sera non vennero prese nemmeno le impronte.

“Ma le impronte dopo il marasma che c’è stato penso che fosse superfluo perché di tracce ce ne erano tantissime, li sono entrati cani e porci, insomma era un Mercato”.

La testimonianza del tecnico non finisce qui, fa altre importanti affermazioni e, come dice Di Giuseppe, lo ribadisco pure io: ASCOLTATE BENE (leggete bene in questo caso).

“Due mesi prima che morisse Marco Pantani erano tutte le sere lui, Miradossa, Carlino e Pucci in un night fra Rimini e Riccione, “La Perla”. Erano sempre assieme. Lui voleva uscire da questo giro e ha detto: “denuncio tutti, lasciatemi stare”. Ecco perché è venuto fuori che c’era gente che lo molestava, Era il trio”.

E continua… (la ragazza era una dipendente dell’hotel)

“in presenza mia, Laghi gli ha detto alla ragazza: Chiunque venga non dite che Pantani aveva chiesto di chiamare le forze dell’ordine. Io ero con loro perché dovevo controllare le telefonate che aveva fatto dalla sua stanza”.

Alessandro Di Giuseppe, riporta poi altre testimonianze che farebbero pensare che Marco non si tolse la vita ma che potrebbe essere stato ucciso.

Come quella del medico legale F.M. Avato relativamente alla quantità di cocaina ingerita da Marco, che sarebbe stata 10/20 volte di più della concentrazione minima letale.

E le botte rilevate sul corpo di Marco, anch’esse ritenute dalla difesa incompatibili con la tesi di essersele auto procurate.

Alcune considerazioni

Insomma, a distanza di 15 anni dalla morte e a quasi 20 da quel 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, la verità vera sembra non essere ancora stata trovata né scritta.

Solo la verità giudiziaria è stata messa nero su bianco ma, probabilmente, alla luce di quanto appena raccontato, l’umore suggerirebbe di rivedere anche quella.

La cosa più bella, la cosa più giusta, la cosa che tutti vogliamo è che, nella vita di ognuno, la verità vera e quella giudiziaria coincidano.

Sicuramente i suoi fan, gli appassionati, tutti coloro che amano lo sport e amano la GIUSTIZIA, dopo aver ascoltare tutto questo, continueranno a cercare la VERITA’.

Prima di tutti la vuole la famiglia, Tonina, Paolo e Manola Pantani, la vuole la dignità di Marco.

La vogliono gli amici di Pantani che la chiedono sulle strade di ogni gara di ciclismo, con scritte, bandiere e canti.

Mi duole, da cittadino, da italiano, constatare dei punti di collegamento tra il caso Pantani e i casi Cucchi e Vannini.

Da un lato appaiono molte lacune nella conduzione delle indagini e depistaggi confessati (caso Cucchi) e ipotizzabili (caso Pantani).

Dall’altro, che solo la volontà, le capacità e l’impegno delle famiglie hanno portato alla luce “più verità” e impedito l’archiviazione.

Un altro aspetto, molto importante per me e che mi causa un dolore enorme, è constatare che chi ha come missione garantire la sicurezza e la GIUSTIZIA, dipinga pagine nere, per non dire rosse, della storia del corpo di appartenenza.

VOGLIAMO TUTTI LA VERITA’ quella vera

Il video del servizio delle IENE lo puoi vedere qui