Soltanto dal 2006 il casco è obbligatorio per i professionisti.
Nonostante le gare a tappe quali il Giro d’Italia e il Tour de France abbiano più di un secolo di vita, sono solo 14 anni che si gareggia proteggendo la testa.
Non poche sono le vittime di gara dall’inizio delle competizioni ciclistiche, come poter dimenticare la rovinosa caduta di Fabio Casartelli al Tour del 1995? (18 luglio).
Molti anni prima, un certo Fausto Coppi dopo la caduta e la morte del fratello Serse per emorragia cerebrale, portò il problema all’attenzione degli addetti ai lavori.
Nonostante non fosse affatto obbligatorio, vi era un corridore che lo portava sempre e, proprio per questo, fu battezzato testa di vetro. Sto parlando del francese Jean Robic (Vouziers, 10 giugno 1921 – Claye-Souilly, 6 ottobre 1980).
Anche Antonio Maspes (Cesano Maderno, 14 gennaio 1932 – Milano, 19 ottobre 2000) utilizzava costantemente il caschetto nelle gare in pista, erano inseparabili.
Nel 1984 Francesco Moser utilizzò un casco avveniristico per conquistare il record dell’ora, ma fu più per una questione di aerodinamicità che per proteggere il capo.
Nel 2003 muore Andrei Kivilev durante la Parigi-Nizza, è l’ennesima morte, questa volta il caschetto diventa obbligatorio ma non sempre: i corridori possono toglierlo in salita e nelle volate.
Dal 2006 è obbligatorio durante tutta la competizione.
Per le categorie giovanili, a partire dai G6, il casco è sempre obbligatorio: se si sale in bici si deve avere il casco.
Sono diversi i disegni di legge di modifica del codice della strada presentati e discussi in Parlamento, ma ad oggi il casco non è obbligatorio per la gente comune, nemmeno se si allena in bici di corsa.
Dovrebbe esserlo? Credo proprio di si. Intanto è diventato obbligatorio per tutti i bambini sino a 12 anni di età