Di di si, il resto lo fa Lui

Di di si, il resto lo fa Lui
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Questi mesi di pandemia, tra le molte cose, hanno cambiato anche i modi di “fare la comunione dei fedeli”.

Le disposizioni della Chiesa cattolica impongono al cristiano di porgere la mano sinistra con il palmo verso l’alto per ricevere il Corpo di Cristo e con la destra, dopo aver abbassato la mascherina, di prendere la particola tra pollice e indice, portarla alla bocca e riporre la mascherina a coprire bocca e naso.

In questi mesi abbiamo avuto l’opportunità di osservare come nelle varie parrocchie si svolge questo momento topico, importantissimo, del rito comunitario comunemente detto “Messa”.

Pur osservando tutti, quasi tutti, la la regola delle “mani”, in alcune parrocchie si è mantenuta la processione verso l’altare a distanza di sicurezza di almeno un metro e mezzo da una persona all’altra.

Nella maggior parte dei casi, invece, il Celebrante invita i fedeli che intendono comunicarsi a rimanere in piedi e agli altri di sedersi. E’ poi il Sacerdote ad andare incontro alla Gente . Alcuni si disinfettano bene le mani prima di avviarsi, altri si disinfettano ed indossano guanti e visiera oltre la mascherina, altri ancora usano una pinzetta, che maneggiano con estrema delicatezza, per cogliere l’Ostia e riporla nel palmo della mano.

In questo andare “incontro” è emersa una riflessione che abbiamo poi espresso ad alcuni fedeli per capire le loro impressioni.

Il fatto che sia il Sacerdote ad andare incontro ai fedeli ci è parso un atto veramente mistico: Gesù sembra volerci dire che è Lui a fare tutto, a noi chiede solo il minimo, ci chiede di accoglierlo. Di aprire le mani e la bocca per lasciarci nutrire da Lui. E’ Dio a venirci incontro, è Lui che ci invita al banchetto, è Lui che ci invita a seguirlo e ad aiutarci a portare il “pesante giogo”, ma noi lo possiamo accogliere o rifiutare.

Abbiamo chiesto a varie persone qualche considerazione su questa visione, alcune le riportiamo di seguito. Francesca di Rovigo, una signora sulla sessantina, dopo averci riflettuto un po’, ci ha detto che non l’aveva pensato e sino ad ora l’aveva visto come un sacrificio il non incamminarsi verso l’altare.

Il signor Luca, sulla cinquantina, non ci ha fornito il suo parere a riguardo ma ci ha raccontato che ci aveva già riflettuto su questo poiché aveva letto da qualche parte, ci dice, una riflessione simile fatta da Don Marco Pozza (parroco del carcere Due Carrare di Padova). Walter, una quarantina d’anni, ci ha guardati un po’ perplesso, ci ha detto che non l’aveva pensato a causa della ripetitività degli atti.

Ha ragionato però sul fatto che troppe volte facciamo le cose per abitudine, senza chiederci il perché, “si è sempre fatto così”. Ci ha lasciati dicendoci “grazie, ci rifletto di sicuro”.

In una sola Chiesa, frequentata anche da molti polesani ma sita in provincia di Padova, poco al di la del confine rodigino, si attua una forma mista di “comunione”.

Per la maggioranza di fedeli è il sacerdote che va loro incontro ma, quando ritorna all’altare si ferma e si rivolge verso la Chiesa. In quel momento ci sono un certo numero di persone, poche, che si avviano verso di lui e ricevono la comunione in bocca come di consueto.

Abbiamo fatto qualche domanda ai parrocchiani e loro ci hanno spiegato che il parroco lo concede agli “irriducibili”, così li hanno definiti, coloro che non accettano compromessi nell’accogliere il Corpo di Cristo.

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