Wilier Triestina è un azienda che nel 2019 ha fatturato 45 milioni di euro, con 1,7 milioni di utile netto e un 2020 ancor più positivo nonostante il Covid-19, o grazie ad esso mi verrebbe da dire.
La sua ragione sociale vede ancora i fratelli Gastaldello pienamente titolari ma un fondo di investimento, in questo caso svizzero – canadese, che contribuisce per circa il 30%, secondo voi tace e acconsente?
Un marchio italiano è sempre stato garanzia di qualità indiscussa. Quanti ne sono rimasti delle centinaia di prestigio che avevamo? Pochissimi. In ogni settore rimangono quasi solo i nomi, sia proprietà che produzione va tutta all’estero.
L’azienda dei fratelli Gastaldello ha ceduto una quota di minoranza pari a circa il 30% al fondo Svizzero Canadese Pamoja Capital di John McHall, MacBain.
La manovra era necessaria? Evidentemente così hanno ritenuto i proprietari di Rossano Veneto.
Per quanto mi riguarda ora vedo un alone nell’italianità di questo marchio anche perché questi fondi non nascono da ciclisti per ciclisti, il loro unico scopo è investire per incassare.
Che siano aziende di biciclette o di patate fritte, a loro poco importa, ciò che guardano è quanto fatturano e quanto ci possono guadagnare.
La politica economica non sempre va in sintonia con le esigenze del pubblico pagante.
Quando le aziende crescono, ed è giusto tendere in alto, corrono anche dei pericolosi rischi. Uno tra tutti è quello di allontanarsi troppo dalla base, quello di diventare irraggiungibili, distaccati, distanti dal cliente, dai rivenditori.
Una delle cose belle delle aziende è l’aprire la porta a chi spende grosse cifre per pedalare su certe bici. Ma se le porte si iniziano a chiudere, se le distanze aumentano, se bisogna parlare solo con il responsabile n. 1 o il n. 2 o il n.3 ecc. alla fine ci si stufa di parlare e anche di comprare.