Perché i record? La parola a chi li tenta

Perché i record? La parola a chi li tenta
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I record? Perché cercare di correre i 100 metri nel minor tempo possibile? Perché voler scalare la vetta più alta del mondo? Perché il libro dei Guinness dei primati raccoglie i nomi di migliaia di persone che si cimentano nelle cose più stravaganti per essere primi?

E’ una parola che merita più di una riflessione. Cosa cambia per la società o per se stessi se si salta un metro o un metro e un centimetro? Cosa può darti una immersione un metro più profonda del massimo mai raggiunto? E il numero maggiore di chilometri percorsi in bici in un’ora?

Da sempre ci sono persone che rischiano la vita e molte la perdono pure per inseguire un record.

C’è chi risparmia, chi si allena anni per raggiungere la cima dell’Everest. Lasciano mogli, mariti e figli a casa per affrontare tali imprese rischiando di non rivederli mai più, perché mai lo fanno?

Ho posto la domanda ad alcuni di coloro che quel limite l’hanno oltrepassato e continuano a farlo anche oggi. Persone rese celebri, popolari, famose dai loro record.

Ilaria Molinari, Latina 1978, è una campionessa di apnea profonda, medaglia di bronzo ai campionati mondiali 2001, vari titoli italiani, nota come la Sirenetta, alla nostra domanda ha risposto così:

I record? io ho sempre avuto un rapporto di amore-odio con le gare e i record, nel senso che ho una passione talmente profonda per l’apnea che a volte penso che i record e le gare la sviliscano in quanto tendono spesso a portare gli atleti ad esagerare. Di fronte ad ogni brutta uscita io mi intristisco sempre e rifiuto di accettare che faccia parte dell’apnea. Al tempo stesso è inevitabile che allenarsi molto e aumentare le proprie performance spesso porti una persona a desiderare di mettersi in gioco e di ufficializzare i risultati raggiunti.

Quindi la mia motivazione è stata un mettermi alla prova, nei confronti di me stessa e di tutti gli sforzi fatti in allenamento senza mai dimenticare la regola primaria: la bellezza e la fluidità dei movimenti.

Per me un record fatto in assenza di bellezza di stile e movimento, non è un vero record, così come un vero atleta dovrebbe sempre innanzitutto curare la pulizia e l’estetica del gesto sportivo, un tipo di attenzione e concentrazione che poi di solito automaticamente porta a migliorare le prestazioni“.

Lo abbiamo chiesto anche un altro primatista mondiale di apnea, Gianluca Genoni, sentite cosa ha detto:

Alla base di tutto credo ci sia passione, passione per la disciplina che si pratica, voglia di misurarsi con se stessi e con gli avversari, conoscere meglio se stessi e i propri limiti. Dopo tanti anni è ancora quello che mi spinge ad andare in acqua così tanto, anche se la stagione dei record per me è finita“.

Martina Fidanza, giovane campionessa di ciclismo figlia d’arte, suo padre è l’ex professionista Giovanni Fidanza e sua sorella è Arianna, altra grande atleta del ciclismo rosa, ha risposto cosi:

“A mio parare un atleta si cimenta nel tentare un record perché nel momento in cui lo si riesce a battere si ha la consapevolezza soggettiva e oggettiva di essere il migliore indiscusso in quella determinata prova.
Prendendo come esempio il ciclismo nelle gare di tutti i giorni si può vincere o perdere oltre che per la forza anche per delle dinamiche di cui il ciclista non è influente, mentre nel record dell’ora quello è il tempo da battere e li dipende quasi esclusivamente da te e una volta battuto si è i migliori in quel campo in maniera indiscussa
“.

Certamente in quel momento si è i migliori ma è indubbio che sarà così solo sino a che qualcuno non farà di meglio. Il record, ci insegna la storia, non è per sempre.

Da queste interviste emerge il fatto che si cerca il record per un confronto con se stessi, per mettersi alla prova, per vedere sino a che punto si è capaci di arrivare. Ma è necessario oltrepassare il limite di altri per capire chi siamo? Abbiamo bisogno di confrontarci con il prossimo per conoscere i nostri limiti? Una risposta universale non credo ci sia.

Ci dice qualche cosa in più Omar Di Felice, uno dei più forti ultracycling man del momento: “L’ultra endurance ti proietta in una dimensione diversa. Seppur sussista la competizione verso gli altri atleti e la ricerca del record, il tutto ha un fondamento molto più legato alla sfera dei limiti personali. Battere un avversario è spesso obiettivo secondario rispetto al vero goal che rimane il superamento del proprio limite. In questo si può definire, senz’altro, una disciplina molto più intima e personale”.

Il record superato porta con sé fama, popolarità, notorietà, è l’obiettivo o una conseguenza? Per i nostri amici è certamente la seconda. E’ certamente un aspetto che fa la differenza nella vita, spero tanto che le nuove leve, cresciute in un epoca molto incentrata sull’apparire, non si cimentino in strane imprese solo per farsi notare e guadagnare. Per il bene dello sport, ciò deve rimanere un fattore secondario.

Un po’ di anni fa, un certo signor Enzo Maiorca, tentò di superare i 42 metri e poi i 50 di profondità per dimostrare a se stesso e al mondo della scienza che il corpo umano può farlo senza implodere. Nel 1960 raggiunse prima i 45 metri e poi i 49 metri e, solo due anni dopo, superò la barriera dei 50 metri staccando il cartellino a -51.

Oggi sono limiti considerati alla portata di quasi tutti ma le conoscenze mediche di allora davano per certo che l’uomo non poteva superare quelle quote, la pressione lo avrebbero schiacciato e ucciso.

Solo qualche anno dopo un altro uomo, Jacques Mayol, dimostrò al mondo intero che si poteva scendere anche oltre i -100 metri, era il 1976. Il 24 ottobre 1999 Umberto Pelizzari stabilisce un nuovo primato, dimostra al mondo intero che il corpo umano può scendere a -150 metri e oltre.

All’aumentare delle profondità però, è calato negli anni l’interesse della “massa” per l’apnea. Nel dopo Pelizzari e Pipin è diventato uno sport “poco interessante” per i media mondiali. Negli anni sessanta tutta la stampa occidentale ne parlava, i record finivano nelle prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi, oggi solo sulle riviste e canali social specializzati. Che si sono superati i -200 metri quanti lo sanno?

Uno che ha fatto e continua a fare tanto per questo bellissimo mondo è sicuramente Umberto Pelizzari, un uomo che di record ne ha battuti tanti e che ha saputo far camminare di pari passo le prestazioni sportive e la comunicazione, tenendo sempre alto l’interesse per il blu.

Anche Umberto, che ho conosciuto personalmente nel 2001, ha voluto rispondere alla mia domanda, perché i Record? “difficile dire perché un giorno ti trovi a stabilire dei record, da dove un giorno tutto è partito. Io ho scoperto l’apnea abbastanza per caso. Avevo paura dell’acqua, ho cominciato ad andare in piscina, a far gare, passavo tutti i giorni in acqua per almeno due ore. Li ho scoperto l’apnea. All’inizio già mi piaceva la ricerca del limite, trattenere il fiato, vedere quanto potevo migliorarmi. Poi la sfida con se stessi è diventata sfida con gli altri, con i ragazzini con cui nuotavo. Quando ho smesso di nuotare ho voluto diventare un apneista più forte, perché? Perché mi piaceva fare apnea, avevo una grande passione, avevo il sogno di migliorarmi. Mi sono trovato in un ambiente che mi ha permesso di allenarmi, un po’ per caso, un po’ perché ho avuto delle circostanze favorevoli, mi ritengo fortunato, ho potuto migliorare anche in profondità… durante il militare ero all’isola d’Elba con il Corsaro, l’allenatore di Mayol, e poi con Mayol. Questo mi ha permesso di avere un approccio alla profondità seguito da grandi professionisti. Il motivo per cui si arriva è quello, trovi la possibilità di raggiungere l’obiettivo, di migliorarti, hai degli stimoli forti, degli avversari, questo ti porta a migliorarti, nel mio caso nell’apnea, credo sia così per tutte le specialità“.

Per un motivo o per un altro, da sempre l’uomo cerca di superare se stesso, di sperare l’ostacolo che altri non hanno saputo nemmeno affrontare. Non è prerogativa dello sport, ma di ogni situazione umana ricreativa, lavorativa o altro.

L’unica avvertenza sta nell’essere onesti prima con se stessi e poi con il mondo intero: non scegliere la strada breve, l’illecito pur di arrivare. Essere onesti con se stessi è garanzia di onestà verso tutti. Il vero sport insegna a vivere correttamente.

Ringrazio anche Alessia Zecchini (apneista) e Marco Confortola (alpinista), assenti giustificati. Sono impegnati in varie attività e mi risponderanno presto, sarà mia cura integrare questo articolo con quanto ci diranno.

Buon record a tutti!

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