Itinerario n. 20 pubblicato su La Voce di Rovigo del 30 agosto 2021
Quest’oggi lasciamo l’auto negli ampi parcheggi lungo il lago di Santa Croce, località Farra d’Alpago.
Pedaliamo in direzione Ponte nelle Alpi, località che attraversiamo. Poco dopo imbocchiamo la SS51 in direzione Longarone.
Si incontra località Fortogna dove è stato eretto, ed è visitabile, il cimitero monumentale in cui sono seppelliti i resti delle vittime del Vajont.
1910 cippi marmorei bianchi, uno per ogni vittima, solo 700 hanno un nome. Si, molte non sono mai state ritrovate e altre mai identificate.
All’ingresso, tra le altre, vi è una statua che ricorda i 31 bambini mai nati. Morirono assieme alle giovani madri che li tenevano in grembo.
Giunti a Longarone ci si trova davanti un una piccola città di cemento.
Dopo quel 9 ottobre 1963 in cui venne spazzata via prima dal vento, poi da acqua e fango, venne ricostruita abbondando nell’uso del grigio, freddo e triste cemento.
La Chiesa dedicata a Santa Maria Immacolata ha al suo interno il crocifisso mutilato dell’antica chiesa ritrovato a più di 100 chilometri di distanza.
Non fu mai restaurato, i fedeli vollero che rimanesse in quello stato a memoria di ciò che fu.
Lasciamo Longarone attraversando il lungo ponte sul fiume Piave, svoltiamo a sinistra e percorriamo a ritroso il percorso della distruzione di quella notte e della nuova vita di oggi.
Il temporale si avvicina, il cielo è grigio plumbeo, il vento soffia molto forte dal Cadore verso la pianura accompagnando le fredde e limpide acque del Piave – storia nella storia.
Svoltiamo a sinistra dicevo, e pedaliamo sulla SR251 che piano piano incomincia a salire per tornanti e rettilinei in continua ascesa.
Il cielo si fa sempre più nero, in lontananza si vede la pioggia cadere copiosa, i fulmini squarciano la volta celeste e rischiarano per un attimo “la notte di giorno“.
Terminata la parte più impegnativa della salita incontriamo un semaforo che regola il transito alternato nelle gallerie nei pressi della diga.
Sono veri buchi scavati nella roccia, la sede stradale e stretta e non permette il passaggio contemporaneo nei due sensi di marcia.
Le auto sono in coda ed attendono il conto alla rovescia visibile nel display.
Mi avvicino cauto alla bocca giallo oro e mi metto al riparo e successivamente, prima lentamente poi sempre più velocemente, percorro i tunnel ben illuminati, osservando il dirupo e la diga che si presenta alla mia destra.
Esco dall’ultimo traforo e la strada si impenna per un breve tratto, giungo al parcheggio della diga.
Sono poco più di 8 i chilometri che separano il centro di Longarone dal parcheggio della diga del Vajont.
Salita breve, dicevo, ma piena di significati, di valori violati, di sentimenti traditi, di gente inascoltata segnata da una tragedia evitabile.
Qui vi è una chiesa dedicata a Sant’Antonio da Padova e alle vittime di quella immane tragedia.
Perché a sant’Antonio? Perché prima della costruzione della diga vi era una piccola cappella dedicata al santo.
Era in località Colomber e venne sacrificata dalla ditta SADE perché interessata dal nascente bacino idrico.
La Società Adriatica di Elettricità si impegnò a costruirne un’altra più in alto e rimosse dalla precedente tutte le parti riutilizzabili.
Dopo quel 9 ottobre del 1963 la SADE non costruì più nulla ma, nel 1967 l’Enel prese la decisione di edificare un tempio unendo insieme la devozione della gente del luogo a Sant’Antonio e il dolore delle 2000 vittime sacrificate da uomini colpevoli.
Oggi è li appena fuori dall’ultima galleria e proprio accanto alla diga rimasta intatta. Da li proseguiamo in direzione Pordenone e facciamo due piccole ascese, una al borgo di Casso e l’altra al borgo nuovo di Erto.
Questa zona in terra friulana oggi è viva più che mai grazie anche ad un uomo, scultore, scrittore, montanaro che è diventato famoso di pari passo con la sua terra natia. Ogni giorno acclama al mondo le sue valli e le sue genti: lui è Mauro Corona.
È facile incontrarlo da queste parti, ad esempio, al bar della nuova Erto o nel suo laboratorio.
Erto, Casso, Vajont, Cimolai e Claut, questi luoghi oggi sono pieni di vita, migliaia di persone passano di qui per conoscere da vicino la storia pre e post tragedia.
Macchine, moto, biciclette salgono da Longarone e scendono verso Maniago, la nuova Vajont, lungo il fiume Cellina. Altrettanti fanno il percorso inverso.
Molte sono anche le escursioni da fare a piedi in val Zemola e lungo le altre valli e sulla frana del monte Toc.
Gli amanti delle vie ferrate non possono certo tralasciare quella della Memoria lungo il canalone che porta alla diga.
E le falesie di Erto? Sono una splendida palestra di arrampicata molto frequentata da principianti e campioni del mondo.
Non ci siete ancora stati? Beh, non è troppo tardi… partite subito!!!