Il film “IL MIGLIORE Marco Pantani” di Paolo Santolini com’è?
Una persona che l’ha visto e che stimo ha usato le seguenti parole:
《Trovarsi a piangere dopo vent’anni in un cinema semideserto. E sognare di essere in sella ad una bici per inseguirlo, chissà dove: ma da qualche parte è ancora in fuga, cercando la miglior versione di se stesso….》
《“Il pugno fa male ma lo schiaffo è un’umiliazione” dice un amico di Marco nel film, parlando dello schiaffo dato al Pirata. Se avete voglia di scoprire il Marco che hanno sepolto sotto il fango della gogna, non perdete l’appuntamento…. non ne parlano i giornali, dunque vale moltissimo!》
Sono le parole di uno che si definisce «straccio di prete al quale Dio s’intestardisce ad accreditare simpatia, usando misericordia». Il suo nome è Don Marco Pozza, vicentino, parroco del carcere “Due Palazzi” di Padova, presente in internet con la pagina e il sito web “Sulla strada di Emmaus“, scrittore, ciclista, nonché molto amico di un fantastico Papa Francesco.
Mi unisco a questo verbo dicendo che “IL MIGLIORE Marco Pantani” non è un film, non è un documentario, nemmeno un processo mediatico su pellicola. Non è nemmeno una fiaba, un racconto strappa lacrime o qualche altra cosa racchiusa in un format internazionale.
Questi 100 minuti sono un’immersione profonda nella vita di uno di noi, lui che era un “artista” in bicicletta.
Mi sono sentito come una cellula del tessuto sanguigno trasfusa nelle infinite vene e arterie del sistema circolatorio umano. Non di una sola persona ma di una comunità unita dal dolore per la perdita di un figlio.
Sono 100 minuti in cui si parla di famiglia: di padri, madri, figlie e figli. Di figli gioiosi, di figli feriti, di “figli uccisi”.
Risalta di certo il dolore per la perdita, ma altrettanto la gioia negli occhi delle persone che lo ricordano e narrano.
Il dolore indiscutibile che appare negli occhi di Marco si contrappone all’amore e alla commozione presente in quelli della nipote Serena, di mamma Tonina e del più riservato Paolo, di Stefano che abbraccia il padre commosso, di Jumbo e di tutti gli amici più cari.
Purtroppo, ma nella narrazione ci sta, certe immagini di repertorio mi hanno ricordato gli atteggiamenti e le parole espresse da giornalisti dell’epoca, persone che ancora oggi sono al centro della comunicazione in ambito ciclistico.
Beppe Conti, per esempio, che stimo per la preparazione in materia – una vera enciclopedia, disse che per avere quell’ematocrito qualche cosa doveva aver preso. Lo stesso Candido Cannavò della Gazzetta dello Sport sembrava non nutrire dubbi.
In questi 100 minuti si fa notare che Marco ha fatto guadagnare tutto il sistema “ciclismo”. Non è lui, solo lui quello che si è riempito le tasche, come molti sostengono, ma tutti, proprio tutti gli attori di quel mondo hanno vissuto bene grazie al Pirata..
Si può veramente dire che in quegli anni, forse anche oggi, ha riempito le casseforti del sistema a due ruote.
Quei soldi, tutti quei soldi hanno però farcito, come la carne nei tortellini, gli occhi di troppe persone che non vedono, non vogliono vedere e preferiscono derubricare il caso come la morte di un drogato per overdose.
Non amo la nebbia, nel documento la si vede spesso. Vi ho colto in questo contesto un valore profondo.
La nebbia fa vedere male, la nebbia nasconde ciò che c’è un po’ come fa la malavita con la calunnia, con la denigrazione, con l’emarginazione, con la gogna mediatica. Distolglie l’attenzione, rende tutto offuscato, tutto poco chiaro così la verità, che c’è, rimane nell’oscurità. I malavitosi rovinano la persona rendendola “sporca”, annullando ciò che ha fatto. Ciò rende tutto più semplice, loro credono: è morto un tossico, non il campione. Ma quanto si sbagliano? Tanto.
Vi cito solo un esempio che vi aiuterà a capire ciò che dico, è la vita di Don Puglisi che in parte ho raccontato nel mio libro “Storie d’Amore che non interessano a nessuno“.
Le musiche sono state tutte azzeccate! La tecnica dell’alternare momenti di felicità a momenti drammatici, è stata impiegata in maniera armonica, efficace, se esistesse la perfezione la riterrei tale.
Portare Marco oggi a cantare in sala con gli amici e con i genitori, alternando immagini del passato e immagini recenti, uniti dalla stessa canzone è stato toccante.
“Chissà dov’era casa mia. E quel bambino che giocava in un cortile: Io vagabondo che son io, Vagabondo che non sono altro, Soldi in tasca non ne ho ma la su mi è rimasto Dio”. (Compositori: Salerno Alberto / Dattoli Damiano Nino)
Dal canto gioioso alla tristezza di Marco Pantani nelle sale dei tribunali è stato un attimo. Poco prima un “eroe” internazionale, e dopo Madonna di Campiglio, un presunto delinquente per 7 Procure della Repubblica.
Quell’uomo pelato, vestito elegante, appoggiato al muro in attesa di salire sul banco degli imputati, quel Marco che legge la formula davanti ad una platea di giornalisti in cerca di notizie da vendere a peso d’oro mi hanno toccato particolarmente. Li non ci doveva essere lui ma ben altre persone.
Ho la fortuna di conoscere quasi tutti coloro che sono stati ritratti dal regista Paolo Santolini e posso affermare con certezza che nessuno di loro ha recitato, nessuno di loro ha indossato la maschera dell’attore, tutti sono stati se stessi ed hanno raccontato con il corpo, con le lacrime, con il sorriso, lo spessore della “Famiglia Pantani”, una famiglia allargata.
Mi ha colpito Serena, non è la prima volta. Mi ha colpito il suo volto, il suo sguardo, i suoi occhi nella consuetudine della sua riservatezza. Il regista l’ha mostrata piccola e confusa in mezzo al grande pubblico accorso a Cesenatico per festeggiare Marco in giallo, e poi adulta e mamma.
Ha parlato poco ma detto veramente tanto: il dolore ognuno l’ha affrontato a modo suo e la famiglia si era divisa.
La sofferenza per questa divisione l’ho colta anche negli occhi di “Manola“, la sorella del Pirata (stavi benissimo, capelli apposto e tutto in ordine – messaggio di servizio) con cui ho dialogato più volte in questi anni tra una piadina e l’altra.
Manola, è il mio pensiero, ha sofferto l’attenzione della famiglia rivolta prima a Marco campione e poi a Marco vittima. Manola è una persona speciale, una giovanissima nonna, a cui manca il fratello e il suo silenzio è più che eloquente.
Come è stato detto opportunamente più volte, “la verità deve essere ancora scritta“.
Nonostante gli innumerevoli faldoni, le migliaia di pagine la verità giuridica certamente ancora non c’è tutta.
La Verità vera è già negli occhi di chi sa amare un uomo semplice, un “patacca carismatico” come l’ha definito un amico.
Nella sua camera Marco scrisse, riferisce Tonina, “A Campiglio la madonna non c’era“.
La Madonna c’era ed aveva le lacrime agli occhi per un figlio ferito, tradito, crocifisso, Lei ne sa qualche cosa a riguardo!
A Campiglio la Madonna ha anche visto tanti demoni con sembianze umane in azione.
La Gazzetta dello sport titolava prima “Inebriati da Pantani” e poi “Sconquassati da Pantani“.
Questi 100 minuti non fanno nulla di tutto questo, non inebriano né sconquassano, “Innamorano” se così si può scrivere.
“Senza il mare non ce la puoi fare” è stato detto. Il 60% del nostro peso è dovuto all’acqua che è in noi (50% per le donne), come possiamo non esserne attratti? E’ il mio sogno vivere in riva al mare. Capisco pertanto l’amore di Marco per la sua Cesenatico.
Mi sarebbe piaciuto ascoltare un ricordo di Christina, la ragazza di Marco, il contesto è quello giusto.
Posso solo fare i miei compimenti a chi ha diretto e ne ha reso possibile la realizzazione di questa “Immersione” durata 100 minuti.
Grazie a tutti voi! A tutti noi della famiglia! Mi sento parte di essa.
Questo film va visto!