Caso Pantani, siamo alla terza inchiesta

Caso Pantani, siamo alla terza inchiesta
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marcopantani, grazie a Tonina Pantani parte la terza inchiesta sulla morte del Pirata di Cesenatico.

La commissione parlamentare antimafia ha inviato un fascicolo alla Procura di Rimini la quale ha proceduto a riaprire il caso. Nel 2016 venne archiviata la seconda inchiesta. Pochi giorni fa Tonina Pantani è stata ascoltata in Procura.

Mamma Tonina chiede di capire una volta per tutte se il figlio è morto per un mix di antidepressivi con la cocaina assunta precedentemente oppure se ci sono altri motivi”, dice l’avvocato Fiorenzo Alessi, il nuovo legale dei Pantani.

Alla base di questa nuova fase ci sarebbe la testimonianza di Miradossa, lo spacciatore che nel 2005 patteggiò una condanna per spaccio proprio legata alo caso Pantani.

Marco è stato ucciso, l’ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato“, queste sono parte delle parole dette dal Miradossa.

L’avvocato Alessi ha aggiunto: “Dopo che almeno 40 giudici hanno ritenuto priva di fondamento l’ipotesi dell’omicidio, confidare che a distanza di quasi 18 anni dalla morte di Pantani si possa configurare adesso è abbastanza difficile da credere, ma se la procura di Rimini sta indagando, noi collaboreremo per quanto possibile” (da il Fatto Quotidiano).

La Gazzetta dello Sport afferma tra le altre cose che questo è “L’ennesimo tentativo per ribellarsi alla versione ufficiale: l’overdose di cocaina“.

Sono passati ben 17 anni da quel drammatico giorno in cui Marco Pantani se n’è andato nell’ombra e nel silenzio.

Quel giorno Tonina, mamma di Marco, promise al figlio che avrebbe lottato ogni giorno della sua vita per portare alla luce la verità.

Da quel momento i Pantani lottano e stanno scalando il loro monte calvario per mantenere la promessa.

I precedenti

Il fatto drammatico è accaduto in una realtà geografica dove prostituzione e spaccio di droga sono notoriamente ben presenti.

È notizia recente, è la stessa Tonina a rivelarlo su Facebook, quella di essersi affidati a nuovi legali.

Le sue parole:
Ho preso una decisione che pensavo da tempo, mi sono affidata agli avvocati Alessi di Rimini, Fiorenzo e Alberto, padre e figlio.

Già sapevo che professionisti erano, bravi e stimati sopratutto Fiorenzo tante volte ha scritto di Marco perche ha anche una grande passione sportiva e capisce il ciclismo. Li ho conosciuti di persona, abbiamo parlato a lungo.

Ho capito che sono delle persone x bene finalmente avvocati che non quardano l’apparenza ma la sostanza, profesionisti che dicono le cose come stanno. Sono certa che mi aiuteranno a capire cosa è successo davvero a Marco“.

Noi ce lo auguriamo di cuore perché questa vicenda oggi non può considerarsi in alcun modo chiusa.

Lo è di fatto, per il momento, per le varie Procure che se ne sono occupate.

Tutti sappiamo che la verità vera è la verità giudiziaria non coincidono sempre anche se così dovrebbe essere. La verità è vera proprio perché è una sola, inconfutabile, indiscutibile.

Qui di seguito riporto una raccolta di articoli, di affermazioni, di parole dette e confermate in varie sedi da persone coinvolte a vario titolo nella vicenda Marco Pantani.

Da quel 5 giugno 1999 ad oggi, ho messo in fila nomi e cognomi e fatti. Molti elementi fanno pensare che non tutto è stato fatto a regola d’arte, le immagini mandate in onda da Le Iene sono sconvolgenti.

13 febbraio 2019Gazzetta.it: Pantani, un caso ancora aperto. Quanti dubbi 15 anni dopo

Uno studente universitario che lavorava in un altro albergo non distante dalle Rose disse: “Non è vero che il giorno prima dormiva lì (al residence, ndr). Era qui con altre persone, a parlare sul divano. E ho registrato il suo nome nella scheda dell’albergo”.

Fabio Carlino, assolto in Cassazione: “Bisogna scavare, scavare. Pantani non aveva manie suicide. E so che quando Miradossa andò in carcere a Napoli, fu avvicinato da soggetti della malavita che gli dissero: “Tu patteggi e non parlare”.

L’avvocato De Rensis dice: “La realtà ufficiale si discosta completamente dal racconto di molti testimoni, che nemmeno si conoscono tra loro. Porteremo il filmato alla Procura di Rimini e chiederemo nuovamente la riapertura dell’indagine”.

A Rimini, intanto, è cambiato il procuratore capo: Elisabetta Melotti al posto di Giovagnoli.

26 settembre 2019Repubblica.it: Pantani, procuratore Rimini: “Nessun elemento nuovo, la morte di Marco non è un giallo”

Elisabetta Melotti, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini in audizione alla Commissione parlamentare antimafia ha detto: “Sulla causa di morte di Marco Pantani, rispetto a ciò che ha già valutato il giudice, non ci sono elementi nuovi di nessun genere: gli elementi sono stati già tutti esaminati dal giudice“… “alterazione della scena crimine: non è una accusa da poco“… “non si sa bene da chi né quando, né come. Sotto questo aspetto c’è una prospettazione illogica“.

Tutte le considerazioni che riguardano le analisi del ’99 su un ipotetico intervento della criminalità organizzata sono circostanze che attengono altri uffici giudiziari e sono influenti rispetto al procedimento di Rimini e quindi all’ipotesi di omicidio – ha detto il magistrato – Ma erano decorsi 5 anni e non è prospettato quale interesse potesse esserci essendo Pantani stato eliminato dal Giro d’Italia già dal ’99“.

Nella relazione del generale non ho alcun visto di collegamento tra il 1999 e il 2004 mentre secondo lui c’è un collegamento che non è evidente, Pantani era fuori da 5 anni. Non c’è un movente, non c’è nulla. Sono stati valutati tutti gli elementi ora riproposti dal generale Rapetto, si può essere d’accordo o no ma è così. Non ci sono elementi nuovi, neppure rispetto all’ipotesi che ci fossero altre persone in camera al momento della morte di Pantani. Si chiede una rivisitazione degli stessi elementi. A distanza di 15 anni è oggettivamente difficile avere elementi originali”

13 gennaio 2020 – Il Fatto Quotidiano.it: Quindici anni di indagini e dubbi 

Fabio Miradossa, il pusher napoletano da cui si riforniva Pantani e che ha patteggiato una condanna per spaccio nella vicenda legata al Pirata, ha detto: “Non si è suicidato, è stato ucciso. Doveva darmi 20mila euro, lì aveva con sé. Ma quei soldi io non li ho ricevuti e non sono mai stati trovati”.

Marzo 2016: il pm Sergio Sottani della procura di Forlì sostiene che “un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare i test e far risultare Pantani fuori norma”. Tutto parte da una intercettazione ambientale di un affiliato a un clan che per cinque volte ripete la parola “”, alla domanda se il test fosse stato alterato.

Il bandito Renato Vallanzasca invece racconta che “un membro di un clan camorristico in carcere mi consigliò fin dalle prime tappe di puntare tutti i soldi che avevo sulla vittoria dei rivali di Pantani: “Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati”.

29 giugno 2020 – Biomedicalcue.it: Com’è morto Marco Pantani: Le Iene, la cocaina e il suicidio

Giugno 1999, Andrea Agostini, portavoce della Mercatone Uno riferì che Pantani effettuò due controlli antidoping, uno  il giorno prima e l’altro nel pomeriggio del 5 giugno, quest’ultimo presso un centro specializzato di Imola: entrambi diedero come risultato ematocrito 48 e non 52. Il 2% sotto la soglia consentita.

Augusto La Torre, boss di Mondragone, confermerebbe il coinvolgimento della malavita nel caso Pantani, accusando l’alleanza di Secondigliano.

L‘autista di Wim Jeremiasse, responsabile del controllo anti-doping a Madonna di Campiglio, conferma la presenza dell’ispettore nella mattinata del 5 giugno 1999. La testimonianza però non coinciderebbe con quella resa al processo di Trento dai medici che effettuarono il prelievo ematico a Pantani che non menzionano o probabilmente volontariamente omettono la presenza di Jeremiasse. La Procura della Repubblica di Forlì, che indagava sul caso, concluse che “un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare il test e far risultare Pantani fuori norma“, ma dovette richiedere l’archiviazione delle indagini a causa dell’intervenuta prescrizione dei reati.

LE IENE

Alessandro Di Giuseppe, inviato delle Iene, nella puntata dedicata a Marco ha raccontato nuovi fatti, nuove testimonianze che farebbero vacillare quanto fino ad ora dato per certo dagli inquirenti.

Un “esperto di investigazioni elettroniche che ha lavorato molti anni per la Procura di Rimini” avrebbe dichiarato che quella sera era li insieme alla Polizia.

Secondo costui non si sarebbe assolutamente arrivati alla verità su Marco Pantani.

Rivelerebbe infatti che il nastro contenente il video effettuato dalle forze dell’ordine quella sera, giunse a loro completamente danneggiato.

“la cassetta era stata danneggiata, l’abbiamo ricostruita noi in laboratorio… mi portano una cassetta con tutto il nastro fuori… Mi dice.. perché la scientifica nel fare dei fermi immagine è andata avanti e indietro, l’hanno rovinata…. e mi dicono.. guarda non si può fare più niente vero? Ci siamo messi tutta una notte, l’abbiamo smontata e abbiamo riversato tutto il contenuto che c’era in questa cassettina in un CD. Non mi era mai capitato che era uscito un nastro.”

Gli atti processuali direbbero che Marco era solo in quella stanza ma potrebbe non essere così.

Prima di tutti è un ex generale della Guardia di Finanza a riaccendere i dubbi “affermando che Pantani quelle sera non era solo” (Alessandro Di Giuseppe).

Vi è anche uno dei receptionist di quell’hotel, Pietro Buccellato, che confermerebbe che si poteva entrare e uscire dalle camere senza essere visti.

Affermerebbe che vi era una entrata secondaria e che si poteva accedere dal garage senza passare per la reception.

Emergerebbe anche il fatto che la reception non era sempre presidiata, lo conferma anche un’altra dipendente rimasta anonima.

Le telecamere di sorveglianza dicono esserci state ma, guarda caso, quel giorno non funzionavano.

Il tecnico rivelerebbe che nessuno ha controllato quelle videocamere neanche per capire se erano guaste o se fossero state messe fuori uso o se solo fermata la registrazione.

Si era detto che Marco non era mai uscito da quell’hotel ma, il servizio delle Iene, ci riporta testimonianze di persone che l’hanno visto in quei giorni.

Uno è il titolare del bar Nuovo fioreP. Traini, che affermerebbe che Marco andò nel suo bar a bere un caffè il giorno prima del ritrovamento del cadavere.

Nel servizio, viene intervistato un ragazzo che lavorava in un altro hotel di Rimini e che affermerebbe di averlo visto qualche giorno prima della morte.

Racconta che “era seduto sui divanetti e chiacchierava con altre persone” e che Marco Pantani aveva prenotato una camera anche in un secondo hotel in quei giorni.

Anche Fabio Carlino, uno della compagnia di Pantani in quei giorni dissoluti a Rimini, sosterrebbe che Marco “non è mai successo che lui è stato chiuso una settimana, in nessun posto i nessuna stanza da solo”.

Sosterrebbe anche che “era una persona super tossica ma che aveva voglia di divertirsi con le donne“.

Gli inviati delle iene hanno cercato le prostitute che sarebbero state con Marco e le avrebbero intervistate.

La prima non ne vorrebbe parlare, direbbe di non saperne niente ma affermerebbe “non ti posso dire niente“.

Capite tutti che tra non so e non posso c’è una differenza abissale.

Martina, la seconda interpellate, avrebbe detto di essere stata con Marco non solo alle Rose ma anche in un altro hotel.

Affermerebbe una cosa ancora più importante, avrebbe detto: “chi ci chiamavano erano questi ragazzi che lavoravano nella portineria“.

La Iena mostra lei delle foto e Martina riconosce uno di coloro che la chiamava per Marco.

Alessandro lo va a cercare, il suo nome è Daniele, ma quando lo trova il signore in questione risponde male prende e se ne va di corsa con la sua moto.

Ci viene raccontato anche un fatto molto importante: pochi giorni dopo quell’incontro con Martina, lei chiama le Iene dicendo loro di essere stata minacciata.

Racconta, con accento dell’est Europa, che le avrebbero telefonato dicendole:

devi dimenticare Rimini, poi che poteva risvegliare con bocca piena di formiche. E di stare zitta e dimenticare tutto. Sarebbe bello che qualcuno pagasse perché io non penso che lui è morto così. Però io lo dico a te, io non lo dico mai più a nessuno“.

Alessandro Di Giuseppe allora si chiede, chi minaccerebbe una prostituta che è stata con Marco 15 anni fa?

Tutte queste nuove cose emerse, unite alle testimonianze di coloro che sarebbero entrati in quella stanza per primi e che avrebbero affermato che quella pallina bianca filmata accanto al corpo di Marco non c’era, ci lasciano di stucco.

Sono il receptionist Buccellato e un infermiere del 118 A. Torri ad affermarlo.

Il secondo direbbe addirittura che vicino al corpo non vi era nulla.

Tre testimoni affermerebbero di avere visto il lavandino divelto per terra, mentre nel video risulterebbe al suo posto.

I testimoni arrivati prima della Polizia affermerebbero di aver visto cose diverse da quelle registrate nel filmato agli atti. Dicono che non vi era tutta quella “coca” nella stanza.

Il tecnico, che avrebbe lavorato per anni per la Procura di Rimini, fa un’altra affermazione importantissima che getterebbe ombre enormi su come venne condotta quella inchiesta, afferma Alessandro Di Giuseppe.

Soprattutto su uno dei componenti la squadra di investigazione, l’ispettore Daniele Laghi.

“Laghi a me personalmente non ha fatto niente, però a Rimini ci conosciamo tutti… tracce di droga in tutte le parti della stanza, cioè la scena del crimine l’hanno creata”

Quella sera intervennero in ordine, ricorda Alessandro Di Giuseppe, gli infermieri, la Polizia e i Carabinieri.

Questi ultimi, il tecnico affermerebbe che, non furono fatti entrare.

“Un carabiniere che è un amico che vedo sempre gli ha detto fateci solo entrare, facciamo un’annotazione di servizio e basta. Non li hanno fatti entrare”

Alessandro Di Giuseppe allora ricorda quello che avrebbe detto il portiere dell’Hotel ovvero che Polizia e Carabinieri si sarebbero litigati.

Il tecnico conferma:

“si, si , si, sono arrivati quasi alle mani”.

Quella sera non vennero prese nemmeno le impronte.

“Ma le impronte dopo il marasma che c’è stato penso che fosse superfluo perché di tracce ce ne erano tantissime, li sono entrati cani e porci, insomma era un Mercato”.

La testimonianza del tecnico non finisce qui, fa altre importanti affermazioni e, come dice Di Giuseppe, lo ribadisco pure io: ASCOLTATE BENE (leggete bene in questo caso).

“Due mesi prima che morisse Marco Pantani erano tutte le sere lui, Miradossa, Carlino e Pucci in un night fra Rimini e Riccione, “La Perla”. Erano sempre assieme. Lui voleva uscire da questo giro e ha detto: “denuncio tutti, lasciatemi stare”. Ecco perché è venuto fuori che c’era gente che lo molestava, Era il trio”.

E continua… (la ragazza era una dipendente dell’hotel)

“in presenza mia, Laghi gli ha detto alla ragazza: Chiunque venga non dite che Pantani aveva chiesto di chiamare le forze dell’ordine. Io ero con loro perché dovevo controllare le telefonate che aveva fatto dalla sua stanza”.

Alessandro Di Giuseppe, riporta poi altre testimonianze che farebbero pensare che Marco non si tolse la vita ma che potrebbe essere stato ucciso.

Come quella del medico legale F.M. Avato relativamente alla quantità di cocaina ingerita da Marco, che sarebbe stata 10/20 volte di più della concentrazione minima letale.

E le botte rilevate sul corpo di Marco? Sono anch’esse ritenute dalla difesa incompatibili con la tesi di essersele auto procurate.

Un altro aspetto, molto importante per me e che mi causa un dolore enorme, è constatare che chi ha come missione garantire la sicurezza e la GIUSTIZIA, dipinga pagine nere, per non dire rosse, nella storia del corpo di appartenenza.

VOGLIAMO TUTTI LA VERITA’ quella vera

2019 05 11 BOLOGNA GIRO102 125 1

Il video del servizio delle IENE lo puoi vedere qui

12 dicembre 2000

Marco Pantani viene condannato in primo grado per frode sportiva per l’ematocrito alto riscontrato dopo l’incidente alla Milano-Torino del 1995. (La Repubblica)

2 ottobre 2003

Ieri la sentenza del tribunale di Tione ha “salvato” il ciclista dall’accusa di frode sportiva. Decisiva la non applicabilità della nuova legge sul doping. Restano molti interrogativi
Pantani, assoluzione sofferta

Dopo aver tremato a lungo, Pantani tira un primo sospiro di sollievo. Il processo a carico del ciclista si è risolto in una bolla di sapone. L’ex scalatore è stato assolto ieri dall’accusa di frode sportiva nel processo in corso a Tione (Trento) per i fatti relativi al Giro d’Italia 1999. Il pm poche ore prima della sentenza aveva chiesto 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa per violazione della legge 401/1989 sulla frode sportiva. Nella penultima tappa del Giro ’99, a Madonna di Campiglio, i medici Uci (Unione ciclistica internazionale) trovarono Pantani con valori ematici fuori norma. L’assoluzione è stata pronunciata con la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Marco Pantani venne squalificato dal Giro del 1999, ad un passo dalla sua seconda vittoria della corsa rosa, e da quel momento si aprì un lungo braccio di ferro tra il romagnolo e la giustizia, accompagnato ad un calvario dell’atleta che non seppe più riprendersi.

L’assoluzione del ciclista è giunta dal Trentino dando una svolta alle indagini relative alle sue imprese agonistiche. Ieri mattina, il giudice monocratico Giuseppe Serao ha decretato la non applicabilità della legge 401/99 (relativa al reato di corruzione e frode sportiva) al caso dell’ematocrito alto riscontrato all’atleta. L’udienza però, non si era aperta nel migliore dei modi per Pantani. Il pubblico ministero del tribunale di Tione, Carmine Russo, aveva chiesto 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa per l’imputato. In difesa di Pantani, l’avvocato Roberto Manzo ha cercato di smontare le accuse della procura di Trento sia in diritto (ha contestato l’applicabilità al caso Pantani della legge 401/99) sia nel merito (in relazione alla causa – effetto dell’uso di epo per motivare la presenza di una percentuale di ematocrito elevata). Tra la vecchia legge sul doping del 1989 e quella del 1999 si è tentato di coprire un vuoto normativo legato all’interpretazione del fenomeno doping (nel 1989 il doping non era ancora stato preso in seria considerazione dal legislatore), ma a Pantani è stato applicato il vecchio testo e questa può essere una delle spiegazioni della sua assoluzione. Pantani era già stato assolto per lo stesso motivo nel 2001 dalla Corte di appello di Bologna dopo una condanna a tre mesi inflittagli per l’ematocrito alto, in occasione della Milano-Torino del 1995.

La formula adottata ieri assolve così di diritto Pantani perché nei suoi riguardi non può essere applicata la legge 401, ma non entra assolutamente in merito agli accertamenti medico – legali. Così, nonostante la sentenza decreti l’assoluzione del ciclista, permangono numerosi dubbi rispetto alla sua assunzione di sostanze dopanti. Su questo aspetto, infatti, il giudice non ha potuto pronunciarsi.

Le dichiarazioni dei mesi scorsi vedevano Pantani ormai provato dalla lunga querelle giudiziaria: «La storia ormai è già stata scritta – aveva detto – non sarà una sentenza a cambiare le cose. Sono ormai quattro anni che lotto contro i processi e le accuse. Per questo, a un certo punto della mia vita, ho deciso di fregarmene di tutto». Ieri il salvataggio in extremis.

Il campione che si è da sempre dichiarato estraneo al doping ed ha sostenuto ripetutamente di essere innocente, pur non riuscendo a spiegarsi l’accaduto, ha accolto la notizia dell’assoluzione con pacato giubilo, «prendo serenamente atto della decizione», tornando dopo molto ad incassare una nuova “vittoria”.

II verdetto fiinale chiude un capitolo nelle vicende giudiziarie di quello che è stato per molti l’ultimo interprete del ciclismo romantico, ma apre la via a tutta una serie di polemiche. La difesa del ciclista ha puntato ad individuare un cavillo della legge in cui l’accusa potesse vacillare, e ci è riuscita, ma non riuscirà ad arginare l’ondata di dissenso legata alla scelta di non prestare alcuna attenzione al fatto che – come ha ribadito più volte il pm – «l’assunzione di epo va ritenuta sussistente». E adesso, Pantani continuerà a pedalare?

Giada Valdannini
sport@liberazione. it

I coinvolti a vario titolo

Elenco in costruzione

  • Elisabetta Melotti, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini;
  • Umberto Rapetto, generale della Guardia di Finanza in congedo, Consulente famiglia Pantani;
  • Fabio Miradossa, il pusher napoletano da cui si riforniva Pantani;
  • Sergio Sottani, PM della Procura di Forlì;
  • Renato Vallanzasca, criminale autore di numerosi sequestri;
  • Ciro Veneruso, colui che avrebbe consegnato a Pantani la dose mortale;
  • Antonio De Rensis, avvocato della famiglia Pantani;
  • Elena, una ragazza che lo conosceva;
  • Studente impiegato all’hotel vicino Le Rose;
  • Fabio Carlino, pusher di Pantani, assolto;
  • Andrea Agostini, portavoce Mercatone Uno 1999;
  • Augusto La Torre, boss di Mondragone;
  • Wim Jeremiasse, responsabile del controllo anti-doping a Madonna di Campiglio, commissario UCI morto in un incidente stradale in Austria;
  • Roberto Manzo, legale famiglia Pantani;
  • Anselmo Torri, infermiere del 118;
  • Giudice Giuseppe Serao (Tione 2003)
  • Fiorenzo e Alberto Alessi (i nuovi legali della famiglia Pantani dal 2021)

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