Itinerario 35 - Il mio monte ventoso
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Questa settimana con Ingironews.it attraversiamo la frontiera tra Italia e Francia e tutta la costa Azzurra pagando profumatamente i tratti di autostrada a pedaggio fisso. Ce lo possiamo ancora permettere, le limitazioni causate dalla pandemia non ce lo impediscono.

Proseguiamo in direzione Marsiglia e dopo circa 300 chilometri dal confine giungiamo ad Avignone, la famosa città della Provenza sede del Palazzo dei Papi.

Dormiamo presso l’hotel Bristol sito su una delle vie principali della città murata proprio all’interno del centro storico e ci prepariamo per affrontare, l’indomani, il mitico Mont Ventoux.

Alzati consumiamo una abbondante colazione e, guardando fuori della finestra, ci accorgiamo che la giornata pur bella ci riserva una sorpresa non molto gradita ai ciclisti: vento fortissimo.

Gli alberi si piegano, le foglie volano, la polvere si alza dal terreno. Cerchiamo in internet le previsioni del tempo che ci confermano quanto stiamo osservando, dicono vento a 45 km/h con raffiche sino ad 85 km/h.

Usciti ci accorgiamo anche del tremendo calo di temperatura. La sera prima alle 21 c’erano ancora 18 gradi centigradi mentre alle 10 del mattino se ne registrano 10.

Carichiamo il necessario, nonostante qualche perplessità e ci avviamo verso la meta di giornata. Siamo venuti appositamente per affrontare quel monte storico e unico e non sappiamo se e quando ci sarà un’altra opportunità.

Avignone dista circa 55 chilometri dalla cima del Mont Ventoux e a 33 km da Bedois dove ha inizio salita vera e propria.

Si attraversa parte della Provenza, tutta la strada è circondata da vigneti bassi e con foglie verdi e rigogliose. L’aria tersa e il paesaggio naturale allietano il cuore e la mente.

Lasciamo Avignone e proseguiamo sino a oltrepassare Carpentras, seguendo le numerose indicazioni per Mont Ventoux, difficile sbagliare strada anche perché il colosso è proprio davanti a noi e a mano a mano che ci si avvicina si distingue sempre più la sua cima e il suo magnifico profilo.

Giungiamo al paese posto alla base della salita e il vento già imprime tutta la sua energia su ogni ostacolo che incontra.

L’auto sembra oscillare, gli alberi si piegano e sulla strada volano foglie e quant’altro, sono un po’ titubante. La temperatura è scesa a soli 6 gradi e siamo all’inizio della salita.

Devo almeno tentare, devo almeno provarci pertanto mi cambio nel retro dell’auto, scendo la bici e mi avvio verso la cima.

Le pietre miliari mi indicano la strada e i chilometri che mi separano dalla vetta nonché la pendenza che si attesta tra il 9 e il 10 %.

I primi chilometri di asfalto sono immersi nel bosco rigoglioso di primavera, gli alberi sono miei alleati, frenando la forza del vento rendo un po’ più facile il mio avanzare.

Non ci sono tornanti per tre quarti dell’ascesa e pochissimi anche in prossimità della cima.

Si sale progressivamente con curve più o meno accentuate su un fondo stradale in ottime condizioni. A circa 7 chilometri dalla cima il bosco lascia spazio ad una pietraia, ad un paesaggio lunare.

Non più una foglia, un albero, una qualche forma di vita vegetale o animale eccezione fatta per i visitatori; solo pietre, vento e freddo, infatti il termometro segna 1 grado.

Siamo nel tratto più affascinate e unico della montagna, quella parte che la rende mitica, ineguagliabile, un vero mito.

Eolo soffia talmente forte da non lasciarmi pedalare sereno, la paura di cadere aumenta ad ogni secondo, inizio ad ad andare in qua e in la sospinto dal vento, nel tentativo di rimettermi nella giusta direzione rischio di saggiare l’asfalto ad ogni metro. Non è la pendenza a preoccuparmi ma il non riuscire a tenere la bicicletta in equilibrio.

Ho sempre più freddo, siamo a -2 gradi, ma nulla sarebbero in assenza di questa forza invisibile che mi contrasta.

Scorgo altri due ciclisti procedere a piedi e battendo i denti, altri due fermi presso il monumento dedicato a Tom Simpson, il ciclista morto durante il Tour de France del 1967, che si guardano perplessi e non sanno che fare, se proseguire o arrendersi.

Poco dopo decido di mollare anche io, manca veramente poco alla vetta. Scendo dalla bici e salgo in auto.

Raggiungiamo la cima percorrendo gli ultimi 3 km al riparo.

Ci fermiamo giusto il tempo di scattare qualche foto e ripartiamo, il vento rende impossibile fare qualunque altra cosa. L’auto barcolla, la poca gente si tiene aggrappata ai pali e alle vetture pur di osservare quel fantastico paesaggio, il mare è la davanti a noi.

Purtroppo non ho potuto concludere l’itinerario come programmato ma il ciclismo è fatto anche di rinunce e bisogna aver sempre in mente che la sicurezza viene prima.

Ci riproverò certamente ma è stato comunque fantastico esserci stato, averlo affrontato averlo visto, tastato, assaporato, fiutato.

Nel 2016 i corridori del Tour de France affrontarono questa vetta e l’arrivo venne anticipato circa nel punto dove mi sono fermato io proprio perché il forte vento non consentiva di arrivare in cima.

Era la dodicesima tappa, quella in cui la maglia gialla Froome cadde e ruppe la bici. L’ammiraglia non arrivava e lui si avviò a piedi verso il traguardo.

Vi furono polemiche a tonnellate anche per i distacchi azzerati che andarono a beneficio di Chris.

Non è sempre così, capita frequentemente, ma la maggior parte delle volte si riesce a raggiungere la vetta e anche tornare a valle. Fatela, ve la consiglio senza nessuna incertezza.

La due ruote utilizzata

Ho utilizzato una Wilier Triestina modello Zero7. La bici è dotata di gruppo SHIMANO , cerchi Fulcrum, coperture Vittoria e sella Astute.

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