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Abbiate cura di loro
“Elena, Nicola e Marco” è tratto dal libro “Storie d’Amore che non interessano a nessuno”.
Un sabato prendemmo posto in cucina, come nostro solito, per procedere alla preparazione dei pasti per il pranzo.
La sister addetta alla mensa mi fermò subito e mi chiese se avevo voglia di trascorrere alcune ore a giocare con quattro bimbi da poco ospiti della casa.
Non potei fare altro che dire di si, sia perché mi faceva molto piacere sia perché, nello spirito di madre Teresa, qualunque incarico richiesto lo si svolge per Lui e pertanto con lo stesso fervore. Scesi le scale per recarmi in giardino dove le mamme mi aspettavano per consegnarmi i pargoli affinché potessero fare alcune faccende domestiche loro assegnate.
Per scelta la congregazione non è dotata né di lavatrice, né di lavastoviglie, né di grattugie elettriche o impastatrici ed altro, eccezion fatta per un’affettatrice, unico strumento di lavoro presente in cucina oltre a frigorifero e fornelli.
Quella mattina di luglio, il sole brillava e scaldava, una leggera brezza rendeva la permanenza all’aperto più che piacevole. Le mamme dovevano lavarsi le lenzuola e coperte e io intrattenere i pargoli.
Cosa chiedere di più dello stare all’aria aperta a giocare con i bimbi? Ve ne erano uno nigeriano, uno dell’est Europa e due romani “de Roma”, tutti insieme non facevano 10 anni.
Giocammo con lo scivolo, fu una palestra per le mie braccia visto che faticavano a salire soli la scaletta ma lo desideravano intensamente, e poi con le altalene, con le biciclette, con i passeggini, le bambole, le macchinine e i palloni.
E visto che era estate e i bimbi di solito vanno al mare con i loro genitori, ho pensato di portare un po’ di spiaggia lì per loro. Trovata una fontanella e un secchio trasformai lo scivolo in uno degno di un parco acquatico e a fine mattinata, prima del pranzo, i bambini erano zuppi dalla testa ai piedi ma stra-felici.
Fino alla fine di agosto quello fu il mio compito soprattutto per i due bimbi della capitale, poiché non uscivano di casa il sabato. Elena, la loro mamma, mi disse un giorno che Nicola e Marco chiedevano sempre di me, aspettavano il mio arrivo, volevano giocare. Con il gioco cercavo di dare loro affetto e in verità lo ricevevo all’ennesima potenza.
Li dovevo tenere in braccio a turno dopo mangiato, il più piccolo – due anni appena – si stringeva a me, metteva la testa sulla mia spalla e si addormentava così. Una di quelle mattine di piena estate Elena mi raccontò la loro storia. Vivevano a Roma, il padre dei bimbi pensava solo a sé, ai suoi problemi che affogava nell’alcool, non una sola ora di gioco, non un pasto consumato insieme alla moglie e ai figli, non una carezza, una parola o un gesto gentile.
Il suo rapporto con i figli consisteva nel comprare loro i giochi, nulla più. Con la moglie invece risolveva i problemi alzando le mani e picchiandola sino a quando venne denunciato e condannato a due anni di reclusione, pena sospesa, gli venne imposto il divieto di avvicinamento a figli e moglie. Pochi mesi dopo la sentenza, dichiarandosi guarito e quindi sereno, si fece avanti cercando di riprendere i contatti con la famiglia e rientrò a casa, su concessione di lei, nonostante il magistrato lo avesse vietato.
Per un po’ le cose sembravano funzionare ma, per una sciocchezza e in preda all’alcool, iniziò nuovamente ad alzare le mani anche sui piccoli. Lei lo cacciò nuovamente, ma lui beneficiò ancora una volta della bontà di lei che non lo denunciò altrimenti sarebbe finito dietro le sbarre. Lui se la prese con i suoceri e con i parenti tutti, tanto che nessuno di loro riusciva più a condurre una vita serena e, così facendo, impedì loro di ospitarla in casa con i due bimbi. Lei, Elena, si rivolse alle «sisters» di Roma poiché le conosceva da tempo, la superiora di allora, dopo un consulto, le consigliò di allontanarsi per un po’ dalla sua città senza comunicare a nessuno la destinazione e le suggeri la loro casa di accoglienza nel nord Italia.
Ecco perché ora ci trovavamo a condividere questo breve periodo della nostra vita. Rimasero due mesi e poi, un sabato, non li trovai più. Fu un duro colpo per me, staccarsi dalle persone amate è sempre doloroso. Ho voluto bene a quei bimbi tanto da considerarli ancora oggi miei figli. Faccio sempre così e mi riesce abbastanza naturale, in questo modo spero di donare loro amore senza pregiudizi, senza condizionamenti esterni.
Anche se siamo genitori solo per un giorno, o per un mese, in quel breve periodo possiamo dare loro quello che non hanno mai avuto. Sicuramente nella lunga vita che li aspetta quei momenti rimarranno saldi nella loro mente e nel cuore. In quel tempo, che ha limite solo per noi umani, avranno potuto capire che c’è amore oltre che violenza che li aspetta sul cammino dell’eternità.
Dove c’è amore c’è anche dolore ma come si può non amare? Che vita è quella in cui non si dona amore e non si riceve amore? Quale dolore è più grande di quello che si prova quando si viene separati dalla persona amata? Non parlo di contratti matrimoniali, non parlo di partorire bimbi, non parlo di ciò che è pura manifestazione di natura biologica, parlo di Amore, quello che ti porta come ha fatto Gesù sino all’estrema situazione di donare la vita per gli altri per piacere a Dio.
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