Novità di Don Luigi Maria Epicoco – Un messaggio agli educatori 🇮🇹

L'Aquila Collemaggio
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Un messaggio agli educatori

Vi riporto un importante estratto di un discorso fatto da Don luigi Maria Epicoco ai docenti di una scuola Cattolica.

È ricco di contenuti utili sia ai Cristiani che non, ai credenti che agli atei, vi consiglio di ascoltarlo o leggerlo.

Buon anno scolastico

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Trascrizione

Una condivisione, un punto di vista, che spero possa aiutarvi in questo nuovo anno scolastico a posizionarvi in maniera significativa davanti a questi mesi, davanti a questa esperienza che molti di voi iniziano, molti altri di voi continuano.

Come abbiamo ascoltato anche durante la liturgia della Parola nella messa di oggi, abbiamo sempre bisogno di lasciarci mettere in discussione di non dare per scontata la nostra Sapienza e c’è una Sapienza pratica che viene dall’incontro con le persone.

Prima di entrare proprio all’interno di quella che è una sorta di itinerario che ho immaginato di fare con ciascuno di voi, vorrei dirvi che la lezione più grande che noi impariamo è quella che viene dalle relazioni.

Non è semplicemente una questione di contenuti da dare o da programmi a cui attenersi ma si tratta di capire che ogni tempo, ogni anno, ogni esperienza in una scuola è unica semplicemente perché le relazioni sono uniche, perché l’incrocio tra persone e situazioni e storie che ci è dato di vivere dentro la nostra vita sono sempre qualcosa che è irripetibile.

Quello che è accaduto l’anno scorso non succederà quest’anno, non succederà l’anno successivo e così via e questo non deve spaventarci deve metterci sempre molto stupore con molta attesa, che cosa accadrà quest’anno? Che cosa ci riserverà il Signore?

Voi sapete che quando subentra la paura, soprattutto dopo aver vissuto delle esperienze faticose o negative una persona non vede più nulla perché vive sulla difensiva e noi dobbiamo abbassare forse i fucili, non dobbiamo essere sulla difensiva e dobbiamo renderci conto che tutto quello che accadrà di bello o di faticoso e vivibile cioè possiamo affrontarlo c’è qualcosa da imparare anche da quei momenti che a noi sembrano particolarmente in salita o particolarmente faticosi.
Noi ci troviamo in un contesto educativo particolare che non è semplicemente una scuola ma una scuola cristiana e cattolica e io vorrei partire proprio da questo punto che è un punto secondo me di identità profondo ma anche un punto ambiguo perché noi pensiamo ad esempio che una scuola paritaria, una scuola cattolica dia qualcosa in più.

Ci sono le cose che vanno date e poi noi dobbiamo dare qualcosa in più e questo credo che alimenti un po’ una forma di vanità da parte nostra, come se noi fossimo in grado di poter dare qualcosa in più che gli altri invece non possono dare e mi domando in che senso? In termini di competenza? In termini, non lo so, di stile di qualità di spazi di offerta formativa?

Son tutte cose del mondo queste e dobbiamo partire con molta semplicità dicendo che ci sono altri che sicuramente lo fanno meglio.

Non significa che noi siamo cristiani e cattolici e quindi siamo migliori degli altri e quindi il nostro modo di vivere la scuola è un modo più eccellente rispetto a tutti gli altri, ma c’è qualcosa che però è un punto di identità cioè in che cosa consiste l’identità di una scuola come questa che ha una grande storia, che ha avuto dei grandi ideali dentro i quali anche noi ci collochiamo ci mettiamo in cammino?

Ecco io non credo che sia qualcosa in più che hai perché si trova invece sotto tutto il resto, sotto la competenza, sotto la proposta formativa, sotto la bellezza degli spazi o delle iniziative che faremo, c’è qualcosa che si trova giù è un po’ come dire, se noi ci troviamo davanti a un palazzo il di più del cristianesimo o della nostra proposta cattolica non consiste nel dire ma il colore delle tende che scegliamo noi non lo scelgono gli altri, non è un fatto estetico, qualcosa che gli altri possono cogliere, ma è qualcosa che tu ti accorgi solo quando vai giù in cantina a vedere qualcosa che non vede nessuno ciò che sta alla base, non è qualcosa che si trova come un elemento che possiamo ostentare ma come qualcosa a cui noi teniamo particolarmente perché è l’essenziale.

Se non partiamo da questo essenziale tutto il resto sarà bellissimo, sarà di grandissima qualità ma perdo di vista il proprio cristiano e cattolico a che cosa mi riferisco e la convinzione che il punto di partenza per noi è il cuore, perché il cuore?

Perché noi partiamo dalla convinzione che ciascuno dei ragazzi che attraversa queste aule, che vive questi spazi, che vive con questo tempo formativo insieme con noi, qualunque dei nostri ragazzi, al di là della sua appartenenza, del colore della sua pelle, dell’entroterra culturale, della sua situazione migliore o peggiore familiare, insomma al di là di tutte le diversità a cui noi siamo abituati perché ormai viviamo in una società plurale, abbia qualcosa in comune con tutti che è il punto da cui tutti dobbiamo partire e che è in cuore.

In che cosa consiste il cuore? Consiste nel fatto che ciascuno dei nostri ragazzi, noi compresi, quindi non solo loro, hanno un profondo desiderio di scoprire un senso nella loro vita e il desiderio di essere felici e poco importa, vedete se a un certo punto uno lo diventerà cioè sarà felice diventando un ingegnere, un medico, se si troverà a vivere una buona o difficile vita familiare, se vivrà una vocazione o un’altra, ma quando tu perdi di vista questo fondamento cioè, che la cosa più interessante della nostra vita non è la nostra testa, quella può essere riempita da tante nozioni e a volte può anche ingannarsi, voi sapete che noi possiamo essere indottrinati anche in termini cristiani, possiamo essere indottrinati ma è una questione di testa, il cuore no, non può essere indottrinato perché qualcosa di oggettivo che tutti noi abbiamo dentro e quindi se c’è un punto in comune, un punto che ci fa essere aperti a tutti, accoglienti nei confronti di tutti, è proprio dire che tutti desiderano un senso, tutti desiderano essere felici.

A che cosa dovrebbe servire la scuola? A tenere costantemente vivo questo desiderio di felicità. Forse vi aspettavate che io dicessi la scuola dovrebbe rispondere a questo desiderio di felicità, ma che presunzione se noi potessimo dire “possiamo rendere felici i nostri ragazzi”, che presunzione quando una persona dice io ho tutti gli strumenti per rispondere a questa domanda di senso che le persone si portano nel cuore.

Non è il nostro ruolo, il ruolo educativo e chiarire la domanda e far diventare questa domanda di senso che tutti abbiamo dentro incandescente perché quando una persona ha questa domanda di senso che gli brucia dentro vive tutto appassionatamente poi, il come risponderà a questa domanda non è più affar nostro perché fa parte della sua libertà, fa parte delle scienze, di quello che farà la vita, della storia che gli sarà data da vivere, però se noi non teniamo desto dentro i nostri ragazzi questo fuoco che passa attraverso il cuore, questo desiderio profondo di voler essere felici, questa domanda di senso che dovrebbe infiammare tutta l’esistenza, allora noi avremmo dato delle competenze ma non gli avremmo dato la cosa di cui più hanno bisogno.

Per lasciarvi un’immagine che forse può sembrare banale no, se la nostra vita è un po’ come un viaggio allora la scuola dovrebbe essere il modo attraverso cui qualcuno ci dà una macchina e ci mette tutti gli accessori necessari, mette il pieno in questa macchina, carica il bagagliaio di tutte le provviste le vettovaglie che ci servono per affrontare questo viaggio eccetera, ma poi una volta che abbiamo la macchina pronta accesa e con il pieno fatto la domanda è: dove andiamo? Ce l’abbiamo un viaggio?

Perché una volta che tu hai tutto pronto ma non hai un viaggio, cioè non hai un desiderio, non sai che devi muoverti, che te ne fai di quella competenza?

Dopo che abbiamo imparato a leggere a scrivere abbiamo imparato la storia la geografia la filosofia la matematica la fisica, tutto questo a che cosa serve se innanzitutto non abbiamo ridestato nel cuore dei nostri ragazzi, non abbiamo ogni anno lucidato questa domanda di senso, questo desiderio di voler essere felici?

Allora abbiamo fallito la nostra opera educativa cristiana e cattolica, Io credo che non dobbiamo perdere di vista questa nostra specificità perché, vedete, se noi riusciamo a tener vivo questo desiderio nel cuore dei nostri ragazzi torneranno a casa e troveranno delle famiglie disastrate ma l’unica cosa che gli farà vivere e contrastare quell’ambiente negativo che a volte respirano nelle loro case è che tutte quelle difficoltà non soffocano in nessun modo questo desiderio che si portano nel cuore, questo desiderio di voler essere felici, questo desiderio di voler trovare un senso dentro la loro esistenza.

Non è, vedete, una questione teorica non si tratta tanto di dire ai nostri ragazzi che gli stiamo dando un contenuto in più ma che stiamo investendo su qualcosa che gli farà guardare sempre il mondo intorno a loro con una grande familiarità, con una grande fratellanza.

La nostra fratellanza non viene dal fatto che ci troviamo tra i cristiani e musulmani, non credenti, buddisti, gente che viene dall’altra parte del mondo ed esercitiamo semplicemente la tolleranza, parola che io detesto, che tollerare significa che tu stai sopportando quella diversità, non ci stai entrando in relazione, allora per entrare in relazione devo sapere che al di là di quello che quella persona veste e pensa e dice ha qualcosa che anch’io ho, anche la persona che ho accanto e che è molto diversa da me ha un cuore, anche le persone che prendono una barca per arrivare da disperati qui hanno un cuore, le persone che si trovano dall’altra parte del mondo hanno un cuore, le persone che qui lavorano e che fanno anche le cose più umili dentro questa nostra scuola hanno un cuore, questo mi rende vicino a tutti, questo mi fa coltivare quella cattolicità, lo sapete cattolico significa universale, e che allarga il mio modo di vedere e di interagire a partire proprio da questa convinzione di fondo.

Credo che questo sia il punto di partenza più interessante e forse voi vi domanderete, sì ma come si fa? Questa è una bella domanda a cui io non rispondo e nel senso che questa è proprio la sfida educativa.

Come faccio io che insegno scienze a ridestare questo desiderio nel cuore delle persone? Come fa la geografia a far questo? Come fa l’italiano il latino, come fanno i giochi, come fanno?

Ciascuno di noi nel suo proprio deve domandarsi come intercettò il cuore? Non ho una soluzione pedagogica, in questo senso vorrei però che noi non perdessimo di vista che questo dovrebbe essere la nostra progettualità, cioè interrogarci su come il nostro modo di insegnare, il nostro modo di trasmettere un sapere intercetti soprattutto il cuore delle persone riaccendendo il loro questa passione e poi, avendo fatto questo, c’è da aggiungere un altro dettaglio: non è mai un gesto in cui noi diamo qualcosa e lo facciamo in maniera chirurgica, no, in maniera cioè esterna in cui in maniera sterilizzata, noi facciamo un’operazione su un altro ma ne rimaniamo completamente staccati non contaminati, guardate che per quanto la persona possa essere brava e competente ciò che passa soprattutto nel rapporto educativo e quello che tu vivi e quindi come tu usi il cuore.

Una domanda ancora più seria: noi che insegniamo c’è l’abbiamo questo cuore? Che domanda abbiamo nel nostro cuore? Siamo diventati così adulti d’aver messo da parte questa domanda di senso e di felicità?

Siamo diventati degli accontentati dico, ma lo dico così in generale, non conosco nello specifico la vostra esperienza, per me è la prima volta che mi trovo in mezzo a voi.
Una persona potrebbe trovarsi qui semplicemente perché aveva bisogno di lavorare, cioè aveva bisogno di arrivare alla fine del mese e quindi di guadagnare qualcosa.

Uno può vivere questo con un mestiere, come qualcosa da fare che alla fine del mese vi porta dei soldi che vi aiutano a vivere ma è troppo poco, ma non è troppo poco in termini morali? Dovresti coinvolgerti di più! È troppo poco rispetto a noi, cioè, io non posso accontentarmi di fare un lavoro che ovviamente mi faccia arrivare alla fine del mese, devo cercare di capire come quel lavoro che io faccio sicuramente per necessità, può rendermi felice e può rendermi felice perché tocca questa dimensione più profonda che io mi porto dentro, mi coinvolge, non mi lascia esterno.

Penso che tutti voi avete questo tipo di esperienza, quando tu incontri una persona che è particolarmente coinvolta la trovi appassionata, ha una luce che gli altri non hanno, ha una luce negli occhi, un tono di voce diverso, una qualità di toccare le cose e di dire cose difficili, cose che possono sembrare così sterili in un modo che fa pensare che c’è del cuore lì, non c’è semplicemente una capacità o un modo di far passare il tempo e arrivare alla fine del mese.

Credo che sia questa la cosa che forse sarebbe bella, che ognuno di noi avesse costantemente chiaro, molto probabilmente voi già ce l’avete chiara, quindi vi chiedo scusa se io l’ho ripetuto ad alta voce, ma se noi perdiamo di vista questa questa convinzione non abbiamo capito qual è lo specifico di questa scuola, cioè lo specifico di essere cristiani e cattolici dovrebbe essere esattamente non in qualcosa in più ma nel punto zero, nel fondamento di tutto, non qualcosa di alternativo ma qualcosa che diventa fondamentale e significativa perché si trova alla base proprio dello sguardo con cui noi viviamo e facciamo le cose.
È proprio dal cristianesimo che io vorrei mutuare tre cose, un passo molto bello di San Paolo dice in maniera esplicita che le nostre dimensioni umane, sono queste le cose che vorrei condividere con voi, sono fondamentalmente tre.

Lui dice così: tutto quello che vostro, dice Paolo, spirito, anima e corpo si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

Sembra una cosa molto astratta ma adesso la vorrei portare in maniera molto concreta e declinarla in un ambiente come questo.

In un ambiente educativo le persone che abbiamo di fronte sono fatte di tre dimensioni: spirito, anima e corpo che tradotto significa che sono fatti di spirito quindi hanno spirito, di una profondità, non sono semplicemente delle persone che vivono in superficie ma persone che vivono in profondità, la loro esperienza, l’anima che non è l’anima come noi la immaginiamo cioè la parte psicologica affettiva.
Tutte le persone che abbiamo di fronte hanno delle emozioni hanno un mondo affettivo interiore psicologia.

E poi c’è il corpo che è la parte più esterna di ciascuno di noi.

Mi piacerebbe capovolgere questa questa triade cioè partire proprio dal corpo e dire in che senso noi dovremmo tenere presente che i ragazzi che abbiamo di fronte hanno sempre queste tre dimensioni e noi dovremmo nutrire sempre tutte e tre le dimensioni non solo l’una tutte e tre.

Il corpo, perché il corpo è importante? Perché il corpo è il luogo dell’esperienza cioè il luogo dove noi tocchiamo la vita.
Vedete, il bene e il male passa attraverso la nostra corporeità. Quando tu ami qualcuno non lo ami teoricamente, il modo che hai di far arrivare l’amore a qualcuno e usando il tuo corpo il bacio e un abbraccio di una mamma, è il binario per far passare questo amore.
L’attenzione alla corporeità è anche eccessiva ma come educhiamo i nostri ragazzi a saper stare qui anche attraverso la loro corporeità, il loro modo di vivere lo spazio e il tempo proprio con il loro corpo? Voi capite che è sempre tutto molto diverso quando tu hai a che fare con dei bambini che vanno all’infanzia o con dei ragazzi che si trovano al liceo. La cocorita di un’adolescente è completamente diversa dalla cocorita di un bambino però non è una cosa che noi possiamo trascurare perché se la scuola trascura questo in realtà poi succede che è un ambito che impazzisce quello della corporeità.

A me impressiona molto che in questi ultimi anni c’è una crescita esponenziale di disturbi legati al corpo, anche disturbi alimentari, ad esempio che si manifestano non solo nelle persone adulte ma soprattutto in una fascia adolescenziale e preadolescenziale.

La non accettazione del proprio corpo, l’autolesionismo dei bambini, il modo che hanno questi bambini di non saper gestire la loro corporeità, di non sapere in che modo il loro corpo fa parte della vita e come devono accogliere o difendersi proprio attraverso la loro corporeità.

Mi domando se la scuola è un luogo dove in qualche maniera si impara il proprio corpo non in senso anatomico, sapete la cosa che mi intristisce moltissimo ad esempio c’è un’educazione alla corporeità che alla stessa diciamo così attenzione che si può avere a una qualunque lezione che spiega le parti, cioè non è questo la corporeità non è semplicemente la conoscenza teorica del nostro corpo ma il modo con cui noi viviamo.

C’è un secondo anno ambito che è quella della della parte psicologica dei nostri ragazzi ed è quella che, diciamo così, riusciamo a percepire anche se si trova sotto la pelle, si trova sotto il corpo, non è una parte evidente, eppure diventa assolutamente evidente dalla serenità oppure dal disturbo.

Molto spesso sono serenità o turbamenti che nascono da vissuti familiari e che nascono da vissuti extra scolastici per non parlare poi che ci sono dei vissuti negativi invece che si respirano a scuola.

Non sarà il vostro caso ma quando si parla di bullismo, quando si parla diciamo così di esperienze negative che avvengono proprio nell’ambito scolastico, questo sta a significare che non posso non interrogarmi sul modo in cui uno dei nostri ragazzi respira, respira la vita, come vive interiormente.

Esempio: questo tipo di attenzione ci deve far comprendere che anche se noi abbiamo una classe di 20 – 25 – 30 ragazzi non so quanti sono i numeri qui nelle classi, anche se fosse una classe di 10 io ho davanti 10 unicità non ho 10 persone uguali, ho 10 mondi ho 10 universi ho tanta diversità perché ho dei caratteri ho delle sensibilità di fronte a me che non sono uguali per tutti.

Se io non mi accorgo che di fronte ho persone che hanno bisogno di sentirsi più gratificate perché sono insicure o persone che vanno contenute perché tendono a schiacciare gli altri, significa che io voglio la delicatezza dell’accorgermi che le persone di fronte a me hanno un mondo interiore.

Attenzione che io non sono chiamato a giudicare cioè a dire è meglio o peggio ma sono chiamato a riconoscere cioè a dire unico e se unico anche il mio modo di insegnare deve essere unico e al di là del rapporto educativo che viene attraverso le materie che voi fate cioè quell’alleanza formativa che si viene a creare attraverso la vostra competenza non potete dimenticare che c’è un mondo che consiglia i nostri ragazzi e che a volte diventa il modo attraverso cui vengono avvantaggiati o svantaggiati anche nel loro essere scuola.

In pratica voi qui avete i figli ma i figli sono il sintomo di una famiglia, c’è una famiglia dietro o non c’è la famiglia dietro e qui potete avere delle persone che possono permettersi di venire a studiare qui ma non è detto che le famiglie che sono dietro hanno la stessa possibilità invece di essere famiglia, allora capire che il bene fatto a questo sintomo che sono i figli è un bene che si ripercuote anche sulle famiglie.

È troppo poco pensare che tu lasci qualcuno a cui deleghi l’educazione a qualcuno mentre gli altri rimangono fuori, no in che modo noi possiamo coinvolgere e parlare in maniera formativa e profonda anche alle famiglie? Cioè, come possiamo intercettare questo mondo interiore che tutti si portano dentro? La scuola dovrebbe diventare un luogo in cui noi ci educhiamo all’intelligenza emotiva.

In che cosa consiste l’intelligenza emotiva, per questo ve lo dico, perché è un fenomeno che si sta sviluppando soprattutto negli ultimi anni e cioè quando io ho scoperto un disagio, angoscia, tristezza, fatica, quando io incontro un un’avversità un attrito nella mia esperienza sono stato abituato a livello educativo subito a guardarlo in maniera negativa come qualcosa che devo togliere dalla mia vita o tristezza devo togliere la tristezza o angoscia devo togliere l’angoscia o ansia devo togliere l’ansia o una difficoltà con un docente devo togliere il docente devo togliere questa difficoltà e cioè non ci siamo resi conto che la vita è sempre la misura cioè un mix tra luce e buio tra sensazioni positive e sensazioni negative ma c’è un modo di tenere dentro anche le cose negative.

La fatica non è una cosa brutta nella vita, la tristezza non è per forza una cosa negativa nella vita, la paura di qualcosa non è per forza qualcosa di negativo, cioè soltanto quando non si ha un’intelligenza emotiva l’unico sogno che abbiamo è quello di estirpare di togliere l’impressione ad esempio l’uso dei farmaci che noi facciamo sui nostri ragazzi in età preadolescenziale o adolescenziale come se dovessimo togliergli quella sensazione perché quella sensazione non fa parte della vita umana non è vero, fa parte della vita umana allora si tratta di capire in maniera intelligente come questa cosa può essere integrata nella vita umana.

Ho una barca, la mia vita è una barca a vela in mezzo al mare e io voglio andare in una certa direzione, voglio arrivare in ora finché i venti mi sono favorevoli, i venti mi spingono verso quella direzione e vissero felici e contenti.

Ma se malauguratamente io incontro una tempesta o incontro un vento contrario che faccio mi affogo? Mi butto, maledico, paralizzo la mia vita?

Dove sta la maestria di un marinaio? Anche se il vento è contrario sa gestire le vele per andare dove dice lui.

Il problema non è il vento, e come io gestisco questo vento e come io faccio pace di tutto questo.

Voi direte si ma questo è compito specifico, non lo so, di uno psicologo, di un pedagogista. Sì è vero in maniera specifica sì, ma ricordatevi quei ragazzi, poi la maggior parte del tempo lo passate voi e se non avete questa sensibilità di capire che dovete aiutare a posizionarli davanti alla realtà prendendosi tutto della realtà non soltanto la parte che conviene allora questo è un fallimento educativo, noi non stiamo investendo su di loro.

Al bambino che evitiamo costantemente qualsiasi fatica ed evitiamo qualsiasi tipo di fallimento che non gli diamo mai un’esperienza del suo limite del proprio nome noi in realtà stiamo crescendo dei futuri adulti insicuri e infelici perché in realtà la felicità nasce quando una persona ha fatto pace con i suoi limiti e innanzitutto si è accorto di averne, ho dei limiti ma non fa niente posso farci qualcosa con questi miei limiti.

Pensate questo, come possiamo noi insegnare questo ai nostri ragazzi se non abbiamo fatto pace noi con i nostri limiti cioè se non abbiamo capito che innanzitutto questa questione affettiva emotiva interiore, questo mondo che tutti noi abbiamo ha bisogno di un’educazione?

Ci sono materie in realtà che interagiscono molto di più con il mondo interiore di quello che noi possiamo immaginare ad esempio con altre materie la musica l’arte non lo so le materie umanistiche intercettano soprattutto l’interiorità dei nostri ragazzi e vi prego non confondete l’interiorità con la spiritualità sono due cose diverse, l’interiorità è la capacità di saper crescere delle persone che hanno una profondità e quindi che sanno lasciarsi intercettare in maniera profonda dalla bellezza da dalla domanda dalla capacità di saper entrare dentro le cose.

Credo che è interessante come in questo nostro momento storico a livello culturale noi pensiamo che per poter dare un futuro ai nostri ragazzi, questo per me è un campo che mi fa tanto soffrire ed è un cavallo di battaglia che ripeto spesso, quando mi trovo davanti a degli educatori.

Culturalmente pensiamo che per dare un futuro ai nostri ragazzi dobbiamo fare un doppio investimento inglese e informatica che sono assolutamente ormai diventati due linguaggi assolutamente necessari per vivere in un mondo naturale quindi ben vengano queste due cose però, se ci riflettete bene, il modo attraverso cui noi diciamo che dovremmo investire molto nell’inglese e nell’informatica sta nel dire perché questo ti dà poi un un’opportunità di lavoro.

Se studi italiano non lavori se studi filosofia non lavori se studi musica non lavori, se non lavori quindi la parte umanistica è diventato qualcosa di marginale talmente tanto marginale che siamo arrivati fino al domandarci ma vale ancora la pena studiare Dante? vale ancora la pena dare tutte queste ore alla filosofia? ma la storia dell’arte non potremmo lasciarla per chi vuole un’alternativa ma non qualcosa di obbligatorio? capito noi italiani che viviamo in un paese che ha la stragrande maggioranza dei beni culturali del mondo noi ai nostri ragazzi li educhiamo saper stare davanti a quella bellezza per saper interagire con quella bellezza?

Credo che forse noi dovremmo andare un po’ controcorrente e a renderci conto che l’investimento sull’interiorità dei nostri ragazzi passa attraverso ciò che l’umanità. Se abbiamo ridotto il programma, non so al romanticismo o dobbiamo arrivare fino a … dobbiamo arrivare fino a cosa?

La cosa più interessante è che quello che noi stiamo dando è la grande opportunità di entrare dentro.

Un paio d’anni fa ho scritto un testo per la Rizzoli dedicato all’Eneide, una rilettura dell’Eneide ora penso che tutti noi abbiamo studiato l’Eneide a scuola però l’abbiamo subita poi noi subiamo Eneide subiamo l’Iliade subiamo Dante subiamo la storia se tutto questo invece fosse un modo di poter intercettare questa interiorità, sapete a che cosa mi riferisco, che quella lezione in realtà può aiutare i nostri ragazzi a stare a casa loro a vivere i disagi sociali, a vivere con più profondità le loro amicizie le loro relazioni ad essere degli adulti differenti perché hanno una profondità e qual è la differenza tra una persona che è profonda e una persona che non è profonda?

Questa è una legge fisica, i corpi che hanno una parte profonda riescono a rimanere in piedi, un foglio di carta che non ha nessuna profondità cioè la minima non riesce a stare in piedi cade.

Significa che lì una persona ha una profondità tale che davanti alle avversità della vita sa rimanere in piedi.
Qual è il nostro lavoro? Togliere le avversità della vita, quello non è possibile amici noi non possiamo evitare la vita alle persone possiamo dare alle persone uno spessore allora ripeto, non succederà in mezzo a voi. Una persona in realtà ha molto bisogno di questo insieme, tutto questo è una mentalità, è un modo di stare davanti alle cose che non ci fa perdere di vista quello che vi ho detto all’inizio di questa nostra riflessione, che cosa ci sta più a cuore, il cuore e quindi si deve creare una sinergia, un’alleanza tra tutti noi sapendo che ognuno di noi contribuisce affinché questo cuore non venga mai perso, poi vi dico un’altra cosa, finché noi non investiamo nell’interiorità dei nostri ragazzi non possiamo nemmeno avere il desiderio di parlare alla loro spiritualità, insomma senza interiorità la nostra spiritualità sa semplicemente di indottrinare i nostri ragazzi.

Si fa la comunione, che adesso facciamo la comunione impara queste cose ti do la comunione, ti do la cresima eccetera, così noi stiamo dando qualcosa che non tocca la vita delle persone non le tocca in maniera profonda.

Siamo partiti dicendo: il corpo è il luogo dell’esperienza quindi dovremmo interrogarci sulla corporeità l’anima cioè la parte psicologica e il mondo interiore investire sull’interiorità quindi affettività e intelligenza emotiva, terza cosa lo spirito.

In che cosa consiste lo spirito? Nell’accorgersi di come Dio agisce veramente nel cuore di tutti ora forse non tutti siete credenti ma molti di voi si per chi è credente vedete la convinzione che lo spinge e avere chiaro che Dio agisce nel cuore di tutti non nel cuore di qualcuno e basta.

C’è un’esperienza bellissima che forse voi conoscete, è raccontata negli Atti degli Apostoli, gli Atti degli Apostoli sono la prima testimonianza della vita dei primi cristiani dopo la morte e risurrezione di Cristo, cioè quelli che hanno cominciato l’esperienza cristiana.

Questo diario di bordo è raccontato negli atti degli apostoli ed è un libro bellissimo che sono molto spesso raccontate lì le contraddizioni di questa comunità, gli errori che facevano, le lettere di Paolo ad esempio o Di Pietro sono lettere scritte a questa prima comunità di cristiani.

Dalle lettere capite subito che questi avevano delle patologie del loro modo di stare insieme avevano delle fissazioni, avevano qualcuno che dava fastidio, insomma erano profondamente umani.

Chi legge gli atti degli apostoli si rasserena, dice anche loro avevano i loro problemi, si i problemi ci sono sempre, una delle prime diatribe dei cristiani era questa: Gesù era un ebreo un ebreo israelita che è morto da israelita da ebreo.

Era uno che è stato circonciso che aveva faceva parte del diritto di tutta la tradizione di Israele, si certo è il messia, ma è un messia che è passata attraverso la tradizione di Israele, allora che cosa pensavano i primi cristiani?

Tutti quelli che si convertono anche i Pagani devono prima diventare israeliti e poi diventano Cristiani, devono prima farsi circoncidere e poi ricevere il battesimo devono prima passare attraverso il giudaismo e poi diventare cristiani.

Questa cosa Spacca la comunità dei primi cristiani perché c’erano quelli a favore di questa linea, erano più conservatori e poi quelli che dicevano: no guardate Gesù ha fatto un taglio cioè ci ha dato qualcosa di nuovo non c’è più bisogno di passare da lì perché la novità di Cristo è quella che egli agisce anche rispetto ai lontani.

Che cosa succedeva ai primi apostoli, prendete Pietro, Pietro un giudeo israelita, anche lui fa parte della tradizione di Israele, per legge gli israeliti non possono avere a che fare con i Pagani perché i Pagani sono impuri quindi non si parla con i Pagani, non si entra in casa dei Pagani, sono loro che devono venire, devono piegarsi, devono convertirsi, solo allora noi possiamo rivolgere la parola ai Pagani, allora prendo questo esempio e ve lo rendo molto laico e molto in mezzo a noi.

Noi siamo qua sono gli altri che devono avvicinarsi a noi, gli altri quelli che vengono da un’altra parte sono sempre serie B, sono loro che in qualche maniera devono adeguarsi a me, e non hanno niente da darmi, perché sono io posso dargli qualcosa, non hanno niente di interessante da darmi, perché io ho tutto e loro sono dei poveretti che devono avvicinarsi a me per ricevere qualcosa.

Questa forma di snobismo abitava le prime comunità cristiane, allora cosa succede? Che a un certo punto Pietro si trova Giaffa l’attuale Telaviv per intenderci, e lì ha una visione, vede qualcosa dal cielo, una tovaglia che c’ha degli animali, e una voce che dice uccidi e mangia.

Lui dice no perché sono animali impuri, non posso mangiare quella carne e questa voce gli dice tutto quello che Dio ha purificato e puro non avere questa preoccupazione.

Dall’altra parte c’è la famiglia di un pagano tale Cornelio che non c’entra niente con i trenini e che riceve anche lui una visione, un uomo entra in casa sua e gli porta questa buona notizia, insomma per farla breve, Pietro trova il coraggio di entrare in casa di questo pagano di nome Cornelio e lì inizia una relazione di amicizia tra di loro che porterà alla conversione di Cornelio e di tutta la sua famiglia.

Alla fine di quell’esperienza di amicizia Pietro dice: mi sono accorto che Dio non fa preferenze di uomini ma agisce nel cuore di tutti e per mezzo di tutti.

Allora l’ultimo collaboratore di questa scuola, quello che si occupa di mettere non lo so l’olio al cancello, e il responsabile di questa scuola, tutti e due hanno nel cuore questa azione di Dio non c’è l’ha solo lui.

I nostri ragazzi, da qualsiasi ambiente che vengono, da qualsiasi condizionamento educativo che hanno avuto, hanno Dio che gli si muove dentro.

La vita spirituale è riconoscere che Dio non fa preferenze ma che agisce nel cuore di tutti, allora si tratta di intercettare questa azione di Dio nel cuore di tutti e assecondare questa azione, aiutare le persone a riconoscere questa azione dentro il proprio cuore, è un di più dell’interiorità è scoprire che noi non siamo soltanto capaci di domande ma che siamo capaci anche di risposte e che questa risposta è la vita spirituale, la capacità di poter scoprire qualcosa di grande che ci agisce dentro, che si muove dentro, quanta mancanza di spiritualità c’è in questo momento storico?

Anche noi che pensiamo di essere credenti molto spesso abbiamo una grande vita religiosa cioè una pratica esteriore ma siamo completamente ignoranti di vita spirituale, cioè non abbiamo capito in che cosa consiste la vita spirituale e come potremmo assecondare.

La capacità di silenzio, prendete uno dei nostri ragazzi e gli dite di stare in silenzio per 5 minuti.
Lasciate perdere ragazzi, fatelo, fermatevi 5 minuti in silenzio, vedete che cosa vi succede, vi verrà l’ansia, mi vengono un sacco di pensieri nella testa e poi un sacco di emozioni, non siamo capaci di andare in un luogo profondo dentro di noi nella parte psicologica dove c’è in azione il Signore, non siamo capaci di spiritualità, chi non è capace di silenzio non è capace di ascolto, io ti sto ascoltando ma in realtà ho già in mente che cosa ti devo dire quindi non ti sto ascoltando, tutto collegato.

Come sarebbe bello se questo luogo fosse un luogo di solidità, cioè si impara anche la vita spirituale e la vita spirituale non è una prerogativa nostra, solo noi c’è l’abbiamo, agisce nel cuore di tutti ed è presente in tutti.

Ecco, lo sguardo con cui noi accogliamo tutti non è una forma di relativismo è una forma di stupore.
Se la scuola alimenta i muri non è una buona scuola, allo stesso tempo la scuola non deve portare avanti questa forma di relativismo che dice una cosa una sorta di volemose bene culturale, no ma si va bene tutto l’importante è che ci vogliamo bene, così amici funziona che chiamiamo le cose per nome.

Abbiamo paura della pluralità, che guardiamo sempre con benedizione ciò che è diverso da noi, ma una cosa non vale l’altra, anzi più io incontro la diversità di un altro più ho chiaro chi sono io, non perdo.

Faccio un esempio: quando le mie convinzioni le chiarisco? Quando incontro uno che ha altre convinzioni contrarie alle mie, perché nell’incontro scontro con ciò che è diverso io sono costretto a chiarirle perché, normalmente non mi chiarisco le idee? Perché la pensiamo tutti allo stesso modo.

Un esempio che in questo caso può sembrare banale: litigate, con chi vi telefonate quando litigate con qualcuno? Quelli che sapete che vi daranno ragione, ma questa è la mia amica, certo perché sai chi ti dirà sempre di si e sarà sempre alleato del tuo punto di vista.

In questa scuola vengono tanti ragazzi che vengono da tanti mondi come vi posizionate davanti alla pluralità, costruendo muri?

Ho assecondando una forma di relativismo? C’è una terza via? Si, è quella di educarci a una diversità in cui ognuno può essere se stesso ma può esserlo con gli altri non da soli, può esserlo con gli altri, tu mi sei necessario, tu che sei proprio diverso da me, tu mi sei necessario.

Questo mondo che è nato come un mondo religioso adesso, per la maggior parte, poggia sul laicato cioè su voi che vi trovate a portare avanti l’eredità di qualcun altro, ciò che qualcun altro ha iniziato.

Qual è l’errore che noi facciamo quando pensiamo all’eredità? Noi pensiamo che siamo dei buoni eredi quando ripetiamo le stesse cose ereditare, nel rivedere, se tu erediti qualcosa, se io eredito non lo so il negozio di mio padre, per fare esattamente quello che ha fatto mio padre, questo è un incubo è un incubo, io non ho la mia vita sto ripetendo la vita di mio padre.

Ereditare non è ripetere le cose ma significa invece portare un contributo di diversità, adesso che avete voi la responsabilità più diretta diciamo così rispetto a questo mondo educativo in che maniera potete non tradire il perché è nata questa esperienza e allo stesso tempo declinarla in un modo unico.

Non so se vi siete accorti che i cambiamenti sociali si sono accorciati in maniera straordinaria, cioè se prima dovevamo aspettare cinquant’anni per vedere un cambiamento adesso nel ciclo di 5 anni i ragazzi che 5 anni fa sono entrati a scuola non sono gli stessi che alla stessa età adesso entrano.

Il mondo cambia in una velocità pazzesca, allora significa che noi dobbiamo stare attenti ad elaborare teorie immutabili, significa che dobbiamo essere disposti a lasciarci provocare dalla realtà.

È un bello interrogativo, come si fa a ereditare senza ripetere e portando il proprio contributo?

Io vi ho voluto consegnare semplicemente qualcosa, ereditare significa non tradire alcune cose che sono basilari, quando vi ho detto che è basilare per questa scuola è tutto vero, l’investimento sul cuore, significa che se vi perdete questo, tradito l’eredità.

Terza e ultima cosa, la terza parola è la crisi, che cosa rappresenta?
La crisi nasce per portarci in un momento diverso, nuovo, cioè rinnovarci, allora il mio augurio è questo, e che abbiate sempre la consapevolezza che qui avete un’occasione d’oro per essere felici, voi innanzitutto, di sentirvi privilegiati a vivere in un mondo dove non soltanto avete un mestiere ma avete una vocazione da scoprire e che potete contribuire a un cambiamento sostanziale nella storia mettendo mani agli unici che possono cambiare la storia che non sono le istituzioni ma sono le persone, se avete chiaro questo allora ne vedremo delle belle e quindi grazie per il vostro lavoro.

Don Luigi Maria Epicoco

Don Luigi Maria Epicoco è un presbitero, teologo e scrittore italiano. Sacerdote dell’arcidiocesi dell’Aquila, scrittore di libri e articoli scientifici di carattere filosofico e teologico. Ha una cattedra in filosofia alla Pontificia Università Lateranense e all’ISSR Fides et ratio dell’Aquila. Direttore della residenza universitaria San Carlo Borromeo all’Aquila e parroco della parrocchia universitaria San Giuseppe Artigiano, dove ha vissuto la tragica vicenda del terremoto occupandosi in prima linea della ricostruzione per l’arcidiocesi. Comunicatore in diverse trasmissioni sia in radio sia in televisione in particolare Radio Vaticana, Telepace, TV2000, Rai2, Rai Radio 2. Nel web è attivo nei social e in diversi blog. Nel 2016 ha curato il commento al Vangelo della rivista Credere Edizioni San Paolo. Membro Cavaliere della Luce. Ha costituito una fraternità con gli studenti universitari che segue. Da novembre 2017 è nato il progetto editoriale di un nuovo messalino edito da Edizioni San Paolo a cura di don Luigi Maria Epicoco. (https://www.cercoiltuovolto.it/tag/don-luigi-maria-epicoco/)

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