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L’omelia di commiato del Cardinale Zuppi per papa Francesco

Sempre ci aspetta, Dio è un maestro di sorprese, sempre ci sorprende, sempre ci aspetta, noi arriviamo e Lui sta aspettando, sempre.
Ripeteva spesso Papa Francesco, lo ha ricordato anche all’inizio Don Stefano e lo ringraziamo tanto nelle sue parole, anche Papa Francesco non ha fatto mancare sorprese da discepolo di questo maestro, mai per stupire secondo la logica del mondo e di un certo protagonismo, ma sempre per liberarsi dalla tentazione di conservare, perché questo significa perdere e così non si trasmette.
Stavo pensando quante parole ci ha regalato, quante parole ci ha regalato, anche qualcuna con quella creatività che è proprio di chi vuole comunicare e che ci insegna a comunicare e che ci insegna a capire insieme, interpretare assieme anche questa tempesta così grande che vive il mondo, questa volta la sorpresa del Signore per Papa Francesco e per noi è la sua scomparsa, si perde nella luce della Pasqua e lasciandoci soli con l’angelo che in modo sbalorditivo continua a dirci perché cercate tra i morti colui che è vivo, non è qui, è risuscitato, davanti alla morte, unico fatto certo della vita, proviamo sempre il turbamento, un profondo dolore per lo strappo che è la morte, un senso di sgomento e quante persone ci hanno rivolto le condoglianze con una partecipazione di cuore, un po’ come quella che penso a tutti noi ci fa un gran bene stare qui, stare insieme, ritrovarci, proprio come una persona cara, importante, presente, come qualcuno la cui assenza ci fa sentire tutti più soli, nell’incertezza del momento, tanti mi hanno scritto proprio questo, per un uomo che non ha mai nascosto la sua concreta umanità, senza nessuna esibizione, senza però anche l’ipocrisia e proprio per questo, per questa sua semplicità, per questa sua trasparenza, ha fatto risaltare ancora di più la forza della grazia di Dio, cui si è sempre affidato e che illumina oggi la sua vita, si è donato sino alla fine, come ha voluto, senza risparmio e calcolo, senza convenienza, per andare incontro a tutti, per parlare a tutti, per insegnarci a parlare a tutti, per benedire tutti, lo ricordava sempre Don Stefano la benedizione Urbi e Torbi, per tutti mi si ricordiamo e indulgenza, quella chiave che sempre l’ho accompagnato in tutti gli anni del suo ministero, prima a Buenos Aires e poi, come lui ha disse, nella sua diocesi di Roma.
Il duello prodigioso tra morte e vita continua, perché la resurrezione lo sappiamo, non toglie il morire, ma vince la morte e allora proviamo umanamente sconcerto, ma anche umanamente e spiritualmente capiamo ancora di più il motivo dell’amore fino alla fine di Gesù, di quel Dio che Dio, come abbiamo ascoltato, ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Come non leggere un segno della provvidenza, che la sua morte sia avvenuta proprio nel giorno di Pasqua, perché, come sappiamo, l’ottava è un unico giorno, giorno che non conosce tramonto, quando vedranno il suo volto non vi sarà più la notte, non avranno più bisogno di luce, di lampada, né di luce, di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E Gesù ci invita ad andare in Galilea, il luogo della prima chiamata, dove tutto è iniziato e siamo aiutati a rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria dell’amore fino alla fine, rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, per un cammino che è sempre nuovo, in quella strada che si apre davanti a noi, ma si apre solo se camminiamo.
La Galilea è l’incontro con Cristo, tutto è lì e sempre si rinnova, fino alla pienezza, noi lo viviamo nella parzialità della nostra vita. Oggi Papa Francesco lo vive pienamente nell’incontro con Cristo, a cui si è sempre affidato. In queste ore vediamo anche la larghezza della Chiesa, di quella piazza che abbraccia il mondo, che vuole come contenerlo e proteggerlo, che accoglie tutti e vuole raggiungere tutti, come il commovente giro in macchina per salutare e farsi salutare dalle persone dopo aver invocato per l’ennesima volta la pace e l’impegno per questa, indicando responsabilità e ricordando a tutti le sofferenze.
Ci stingiamo allora insieme, e con noi lo hanno fatto nella preghiera in tanti modi per manifestare solidarietà umana, vicinanza, persone diversissime, ma legate tra loro da un legame che io credo spirituale, un’appartenenza profonda a quella fratelli tutti che è stata la visione che Papa Francesco ha offerto appunto a tutti. Perché tutti possiamo contemplare nell’altro il mistero dell’amore di Dio, per abbattere tanti muri, perché solo insieme possiamo vincere colui che al contrario umilia e disperde la vita, e sempre con l’attenzione all’altro, per combattere il vero nemico che è il male, e per amare sempre il peccatore, come siamo tutti.
Quel tutti che Papa Francesco ha insegnato e ha vissuto appunto, potremmo dire fisicamente fino alla fine, per l’inde cadavere che accompagna tanto la spiritualità della compagnia di Gesù, fino alla fine.
Ed è quello che oggi vediamo quel tutti stringersi intorno a lui e alla sua Chiesa, è un legame che lui ha sempre desiderato e che ha vissuto in maniera affettiva, mai impersonale, mai efficientistico, sempre rispettoso e anche tanto senza paura di sporcarsi della vita, direi il contrario, con la paura di avere le mani pulite, fino all’ultimo. Mi ha fatto tanta simpatia quando dal Gemelli aveva visto quella signora coi fiori, come a dire cercare sempre il rapporto con qualcuno, sempre trattare non in maniera anonima ma personale, senza filtri, senza paure, senza appunto ipocrisie, che qualche volta pensiamo possano proteggere, nell’incontrare l’umanità, nell’entrare nelle case dei peccatori senza timore, nel sedersi a tavola con loro e liberando anche da tanti timori e da tante ossessioni. Una Chiesa capace di parlare, di essere vicina, quante telefonate, mi ricordo anche qui da noi, come quell’anziano di Porretta che aveva letto che era rimasto da solo, il Papa l’aveva chiamato, senza paura di farlo e di farlo non per piacere a tutti, ma perché tutti sono suoi figli e per tenere tutti insieme, per aiutarci a comunicare.
E ci riusciva, non facendo sconti, anzi con un’ esigente radicalità evangelica, morale e non moralista. Papa Benedetto ricordò a tutti la fiducia del cristiano, la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e il Signore non la lascia affondare, è lui che la conduce certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Proprio per questo anche aveva chiesto ai cristiani di mettersi in cammino nella desertificazione spirituale del nostro tempo, capendo il bisogno umano, non giudicandolo, capendo, capendo la sete di acqua, proprio perché in luoghi resi aridi dall’individualismo, per cui c’è ancora più sete.
Papa Francesco sì e ci ha messo in viaggio, fino alla fine, perché uno riceve la vita proprio quando la dona. Ecco la Chiesa che vediamo oggi stringersi intorno a lui, che ne ha presieduto la comunione, che ci ha insegnato ad amarla come un poliedro e non come una sfera, di farne per tutti un servizio e non un ufficio. E’ sempre una Chiesa di tutti perché è particolarmente dei poveri, che non sono un oggetto di qualche attività filantropica, ma fratelli, anzi i primi fratelli che lui ha sempre cercato, che ci ha fatto cercare, e non dimentichiamo che l’ultima visita che ha voluto compiere è stata proprio nella carcere di Regina Celi, l’ultima visita fuori dal Vaticano, che ci ha fatto cercare.
La prima, vi ricordate, fu a Lampedusa. E spingendoci ad andare nelle periferie umane, non per vedere ma per toccare i poveri, per farsi toccare da loro, per ascoltare la loro voce e dare voce a loro che non la hanno, come ha fatto per tanti poveri, per ricordarli da vivi, per salvargli la vita fisicamente, da quel mare di indifferenza che la fa perdere, per sentire lo scandalo dell’ingiustizia e non abituarsi mai a questa, che causa tanta sofferenza. Ecco che cos’è la Chiesa, amati da Dio, tutti uguali per chi amati, e in questo tutti diversi.
Nella Pentecoste di qualche anno fa disse il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia e con quest’altra. Lo spirito ci vede del padre di Gesù, il mondo vede conservatori e progressisti, lo spirito vede figli di Dio, lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti, lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto.
Vi ricordate che il tutto è sempre più importante del particolare, della parte. Per lui non siamo corriando riportati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico. Una Chiesa è comunità, famiglia, madre, non nido, non che vive per sé stessa e che non ha paura non di perdersi, ma di andare verso tutti, per non perdersi.
Chiesa che dona quello che ha ricevuto. Una Chiesa non narcisista, non vittimista, non pessimista, disse a Firenze. Attenta alle tentazioni, da tenere sempre molto presenti, dell’ognosticismo e del pareggianesimo, di innamorarsi delle idee o di accontentarsi delle proprie opere.
Una Chiesa che non vuole sopravvivere, ma vivere, che non pensa di essere a posto con le strutture o con i piani pastorali, ma che non ha paura di cambiare per parlare al cuore di tutti. Insomma una Chiesa lieta, madre, lieta, umile, disinteressata, beata, che è forte proprio perché sa affrontare gli scandali del proprio peccato, chiamandoli col proprio nome, come Giabusi, e capendo e combattendo le cause, e non solo chiarirne le conseguenze. Una Chiesa che dobbiamo proteggere, perché sia sempre pellegrina di speranza, audace nello spirito, amabile, libera perché serva, maestra perché madre, che non deve compiacere, ma essere vicina a tutti.
Una Chiesa piena di diversità, ma unita. Una Chiesa che incontra Dio e per questo incontra gli uomini. Infine, portiamo nel cuore le sue ultime parole.
Chiare, piene di consapevole preoccupazioni, impegnative e sempre, come tutte, di tanta umanità. Ha detto Domenica, quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo. Quanta violenza, anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini.
Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti. In questo giorno vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane, con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi, da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio. Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile e nessuna pace è possibile senza un vero disarmo.
La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere, ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana. Sono queste le armi della pace, quelle che costruiscono il futuro invece di seminare morte. Ecco, conserviamo queste come le tante parole di chi ci ha affidato.
Ringraziamo Dio per il dono di Papa Francesco, per una Chiesa amica dei poveri e per questo ricca, solo per questo ricca, per la paterna attenzione pastorale, che solo chi vive la compassione per la folla e la cura del prossimo può capire, per la misericordia del Padre che vuole la sua casa piena di suoi figli, che ama tutti e per i quali fa festa, insegnando al fratello maggiore l’amore e la fraternità. Caro Papa Francesco, senza che ce lo chiedi, noi continueremo a pregare per te e siamo certi che tu continuerai a pregare per noi, per la Chiesa e per il mondo. Nell’ultima enciclica, quella sul cuore, così importante per la sua spiritualità, che ci aiuta anche a capire quanta attenzione dava al cuore, concludeva con questa preghiera.
Prego il Signore Gesù che dal suo cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno Celeste. Lì ci sarà Cristo Risurto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo cuore aperto, che sia sempre benedetto.
Ecco, lì in questa Galilea ci sarà Cristo Risurto. Ringraziamo il Signore per il don di Papa Francesco, portiamolo nel nostro cuore e impariamo ad avere cuore e a dare cuore a questo nostro mondo pieno di tanta sofferenza.
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